Gli Hirpini: Il Nome

In questo capitolo cercheremo di esaminare le possibili connessioni tra il nome di Hirpini, dato ai più meridionali dei Sanniti, ed il lupo, vagliando il significato che a questo termine poteva essere attribuito in ambito sabino, cioè nella zona in cui il termine ha avuto origine. La parola osca “hirpus” col significato di lupo ci viene da Strabone (1) e Festo (2) a proposito dell’etimologia del nome etnico degli Hirpini. Il geografo greco Strabone, vissuto tra il 58 a. C. e forse il 25 d. C., scrive infatti nella sua Geografia:
“Viene poi il popolo degli Irpini, anch’essi di ceppo sannita. Ricevettero questo nome dal lupo che fece da guida alla loro migrazione: i Sanniti chiamano hirpos il lupo. Confinano con i Lucani dell’entroterra”.
In Sesto Pompeo Festo leggiamo invece:
“Hirpini appellati sunt nomine lupi quem hirpum dicunt Samnites; eum enim secuti agros occupa vere”.
(Tarduzione: furono chiamati Irpini dal nome del lupo che i Sanniti chiamano hirpum; infatti dopo averlo seguito accuparono i territori).
Lo stesso termine poi e con lo stesso significato viene attribuito da Servio ai Sabini (3):
“Nam lupi Sabinorum lingua vocantur hirpi” (Trad. Poiché i lupi nella lingua dei Sabini si chiamano hirpi).
La molteplicità delle fonti, che però alla fine risalgono tutte a Varrone è apparsa a molti studiosi garantire sufficientemente la validità di questa informazione: la parola “hirpus” è entrata senza sospetti nella letteratura glottologica (4).

MARCELLO DURANTE…CONTROCORRENTE

L’illustre linguista Marcello Durante invece, discostandosi da questa opinione diffusa e condivisa dalla maggioranza, ha sollevato un problema (5): egli non è dello stesso avviso ed è propenso ad attribuire a questa parola non il significato di lupo ma piuttosto quello di capro (hircus). Egli avvalora la propria tesi affermando che le notizie sul sabino “hirpus” risalgono ad un’unica fonte, cioè Varrone, che la parola non è stata desunta dall’uso linguistico comune come denominazione di un animale, ma dal linguaggio rituale religioso nel quale questo termine, riferito ai sacerdoti, aveva solo una funzione simbolica, e che a questa funzione si adattava più il capro che il lupo. Circa la prima affermazione abbiamo avuto già modo di confermare che la fonte comune a Strabone, Festo e Servio è senza dubbio Varrone. Che la notizia sul sabino “hirpus” sia di paternità varroniana è ricavabile da Servio stesso, il quale, commentando il verso 787 dell’XI libro dell’Eneide, dice che Varrone, descrivendo un certo medicamento, sostiene “come sono soliti fare gli Hirpi che, accingendosi a camminare sui carboni ardenti, ungono le piante dei piedi con un medicamento.

NOTE:
Strabone, Geographica, V, 4, 12;
Festo, De verborum significatu, 106;
Servio, ad aeneidos, XI, 785;
Marcello Durante, “La parola del passato”, XIII, 1958;
M. Durante, art. cit., pag. 412.

E’ probabile che Varrone, avendo trattato in precedenza degli “aditus inferorum” italici (porte degli inferi), dove gli animali morivano per le esalazioni pestifere è possibile che, avendo avuto notizia di un simile culto nella Valle di Ansanto, tra le popolazioni irpine, e trovando somiglianza anche nel nome, abbia ricondotto il nome degli Hirpini a quello del sodalizio sacerdotale degli Hirpi Sorani. La qual cosa riceverebbe del resto anche luce maggiore dal fatto che la parola “hirpus”, nelle fonti che abbiamo esaminato, viene considerata ora sannita, cioè osca, ora sabina, proprio a sostegno della tesi pansabinistica varroniana che voleva anche i Sanniti discendenti dei Sabini.
Il Durante conduce poi un’indagine glottologica comparativa su alcune parole che hanno subito gli stessi mutamenti fonetici. In seguito all’affermazione di Varrone (1) “ircus quod Sabini fircus”, dice che fircus è geneticamente identico ad hircus e a hirpus, e quindi non poteva coesistere nello stesso luogo: Pertanto egli ricava da ciò che Varrone non ha attinto alla lingua parlata, ma a fonte diversa da essa, Ci possiamo chiedere a questo punto donde Varrone abbia preso lo spunto per ricondurre i nomi Hirpi e Hirpini a una parola che aveva il significato di lupo. Il Durante è convinto che Varrone abbia attinto alla leggenda, non come frutto di pura fantasia, ma come eziologia sviluppatasi in loco per giustificare certi atti cultuali, nei quali doveva essere venerata una divinità legata alla presenza di una spelonca pestifera e nelle sembianze e negli attributi del lupo. Che gli attori del culto, come li chiama il Durante, assumono lo stesso nome animalesco che è proprio della divinità teriomorficamente concepita, lo ricaviamo da altri esempi come àrctoi (orsi) vergini di Artemide, melìssai sacerdotesse di Era-ape. Quindi un titolo animalesco poteva competere anche ai sacerdoti del Monte Soratte, e nulla ci assicura, sostiene il Durante, che in uno stadio più antico del culto degli Hirpi Sorani il simbolo teriomorfo della divinità avesse avuto le sembianze del capro anziché quelle del lupo. Questi simboli possono cambiare nel corso del tempo e possiamo anche pensare col Durante che “nel culto infernale del Soratte si sia sovrapposta una simbologia etrusca ed una italica: in quella etrusca era il lupo che rappresentava le potenze dell’al di là, come vediamo in vari momenti figurati; in quella anteriore il rappresentante delle potenze infernali e nello stesso tempo simbolo di purificazione era il capro” (2). Continua il Durante: “C’è un’altra analogia fortemente calzanteper questa ricostruzione, ed è quella dell’altro sodalizio religioso con nome animalesco che si trova nella religione romana: Luperci. E’ stato dimostrato che i Lupercalia sono una festa di purificazione apprestata in onore di una divinità che ha gli attributi del capro (3), e gli animali sacrificati sono appunto i capri. Quindi c’è certamente il capro nella parola Luperci, come è fuori discussione la presenza anche del lupo. I nomi derivati da due o più animali sono frequenti, e abbiamo anche l’altro esempio di suovetaurilia. Quindi i Lupercalia sono una festa in onore del lupo e del capro e vediamo attuata concretamente in Roma l’ipotesi avanzata per il none rituale degli hirpi Sorani. Ritornando agli Hirpini e trovandoli in Silio Italico (4) “terga irsuta ferarum” cioè con un aggettivo che non si addice al lupo ma al capro, o, come pensiamo noi al cinghiale, dato il ferarum del passo dei Punica, che non può riferirsi al capro, possiamo tranquillamente dire che anche l’ultimo degli elementi che legano gli Hirpini al lupo, cioè il valore semantico del loro nome etnico, cade perché, come abbiamo detto gli Hirpini non hanno conservato nessun

NOTE:
Varrone, De lingua latina, V, 97;
Cfr. M. Durante, art. cit., pag 340;
Cfr. J. C. Frazer, The fasti of Ovidio, II, pag. 338 e ss..
Silio Italico, Punica, VIII, 567.
elemento connesso al lupo in tutte le loro manifestazioni, anche rituali e culturali, per quanto finora ci consta, e il nome Hirpini è rimasto legato a questo animale perché Varrone aveva dato alla parola hirpus il significato di lupo e da Varrone l’hanno ripreso anche Strabone, Festo e Servio.
Il Durante conduce infine un’indagine linguistica comparativa per quanto concerne il capro (hirpus=hircus = -erc) su hirpus ed hircus, dicendoli entrambi corradicali e horrere nel significato di “essere irto”, come testimoniano gli altri derivati hispidus, hirtus, hirsutus. Il significato primario era dunque irsuto, villoso. Ma l’animale villoso per eccellenza è il capro e non il lupo, che ha il pelame più basso.
Mentre per il lupo non si trovano attributi di questo genere, per il capro o la capra si può raccogliere una ricca documentazione, cosa che il Durante fa comparando accuratamente ebraico, latino e greco.
L’illustre linguista può a questo punto tranquillamente concludere il suo articolo dicendo: “Sono dunque gli elementi più disparati che concorrono nello smentire la tradizione antica, restituendo alla glossa hirpus l’accezione genuina”, cioè quella di capro.