La Stele Funeraria di Marcus Mevius

La stele funeraria è una lastra o un grosso blocco di pietra di dimensioni variabili, destinata a contrassegnare o indicare il luogo di una sepoltura. Proprio a partire dal I° secolo dopo Cristo la stele funeraria divenne uno degli elementi più caratteristici della cultura romana ed è documentata in tutto l’impero romano, con moltissime varianti locali, legate a volte anche alla reperibilità di materiali in loco.

La nostra elegante, bella e ben conservata stele funeraria venne fuori alla fine degli anni ottanta in località “Aia di Cappitella” di Carife, in un sito adiacente, sul lato nord, a quello dell’insediamento del Neolitico, durante i lavori di urbanizzazione del Piano di Zona- Area B.

Giaceva in profondità con l’iscrizione rivolta in basso e, chiaramente, si trovava nello stesso sito in cui era stata collocata, nella prima metà del I° secolo dopo Cristo.

La stele funeraria di Marcus Mevius.

La stele funeraria di Marcus Mevius.

Gli indizi raccolti sul luogo del rinvenimento portano a localizzare con certezza nel sito un’area destinata all’“ustrinum”, cioè ad un luogo in cui avveniva il rito dell’incinerazione dei corpi: c’erano infatti tracce evidentissime di carbone e molti frammenti ossei carbonizzati. Non pochi erano i frammenti di ceramica di grosso spessore, appartenenti forse ad urne cinerarie.
Il rito dell’incinerazione è antichissimo ed è presente anche in alcune tombe della necropoli sannitica dell’Addolorata, sempre a Carife ( IV-III sec. a:C.) e in quella della vicina Serra di Marco.
Anticamente si credeva che il fuoco fosse un elemento purificatore, che illuminasse il passaggio dei defunti in un altro mondo e ne impedisse il ritorno.
La nostra stele è costituita da un grosso blocco monolitico di pietra “favaccia” o brecciato, pesa vari quintali e proviene, forse, da cave di Gesualdo o di Fontanarosa. Ma potrebbe trattarsi anche di una pietra reperita, come masso erratico, nei dintorni.
Una parte era destinata ad essere conficcata nel terreno dell’area sepolcrale.
E’ alta complessivamente circa 175 cm. , di cui cm. 55 per la parte grezza destinata ad essere interrata, cm. 101 per la parte lavorata, occupata dall’iscrizione e dalle incisioni, e cm. 18 per la parte superione a timpano triangolare, contenente il “GORGONEION”, con la testa di Medusa o Gorgone, che ha i capelli a forma di serpentelli e due delfini opposti laterali alla testa; due foglie di acanto o palmette a forma di conchiglia, sono state scolpite esternamente sui due angoli acuti .
A Medusa era affidato il compito di spaventare e di allontanare gli spiriti maligni.

Medusa/Gorgone e i due delfini

Medusa/Gorgone e i due delfini

La stele, convessa e assolutamente grezza sul retro, è scalpellata grossolanamente sui due fianchi; ha uno spessore di 30 cm. verso il centro e di 20 cm. all’inizio della parte che era destinata ad essere interrata. La stessa misura troviamo in corrispondenza della base del timpano.
La parte interrata, che si presenta tondeggiante, ha uno sviluppo complessivo di circa 80 cm.. e presenta la forma e la fattezza originale del blocco.

L’Iscrizione della stele funeraria.

L’Iscrizione della stele funeraria.

L’iscrizione, in eleganti caratteri augustei, si sviluppa su quattro righe o linee, ed è la seguente:

M.MEVIUS.P.F
COR.CLEMES
AED.Q.IIIIVIR.IUR.D:

SIBI ET SUIS

I caratteri che formano il primo rigo, quello relativo al nome del personaggio, sono alti cm. 6.
Quelli relativi al 2° e 3° rigo (contenente il “cursus honorum”, o carriera politica) sono leggermente più piccoli, essendo alti cm. 5.

Le 4 asticelle (IIII) che indicano quattuor e precedono VIR sono sormontate da una linea orizzontale.

La scritta sibi et suis, che si trova si trova più in basso rispetto alle linee precedenti, è alta cm. 4.

La parte interessata dall’iscrizione, alta circa cm. 101, larga circa 60 cm., presenta delle linee incise che la contornano a formare delle lesene ( per simulare una struttura architettonica con pilastri), distanti tra loro circa due centimetri.

Stele funeraria di Marcus Mevius: I due fasci littori e le linee incise.

Stele funeraria di Marcus Mevius: I due fasci littori e le linee incise.

Lateralmente sono scolpite due “Fasces Lictoriae” (fasci littori) senza l’ascia inglobata; esse sono larghe circa 5 cm. e sono alte, dall’ impugnatura, 36 cm.

L’iscrizione può essere interpretata come segue:

MARCUS   MEVIUS   PUBLII   FILIUS

CORNELIANUS.CLEME(N)S

AEDILIS. QUAESTOR ( o QUINQUENNALIS?) .QUATTUORVIR IURE DICUNDO

SIBI ET SUIS

La traduzione è la seguente:

MARCO MEVIO FIGLIO DI PUBLIO

CORNELIANO (della tribù Cornelia), INDULGENTE/MODERATO

EDILE. QUESTORE. QUADRUNVIRO AMMINISTRATORE DI GIUSTIZIA

PER SE’ E PER I SUOI (FAMILIARI).

La Q potrebbe però significare anche quinquennalis, visto che quella del Quaestor è la carica più bassa del “Cursus Honorum” (Carriera politica) e poteva essere ottenuta all’età di 28 anni.
L’iscrizione, quasi certamente, elenca le cariche da quella di grado più basso a quella di grado più alto.
Il magistrato MARCO MEVIO, quadrunviro del Municipium di Aeclanum, fu cremato e sepolto ad “Aia di Cappitella” di Carife, insieme ai suoi familiares, evidentemente perché qui aveva possedimenti, villa o altre attività.
Sempre nel Municipio di Carife sono conservate altre due iscrizioni funebri, provenienti dal territorio, registrate ai numeri 1412 e 1413 del C.I.L. (Corpo delle Iscrizioni Latine) VOL IX.
Una, proveniente da Serra di Marco di Castel Baronia, è alta cm. 54, larga cm. 66 e riporta la seguente iscrizione:

SALVIUS. L.L. AGATO
PATULACIA P.L. PHILEMATIO
ET
P.PATULACIO BASSO

La lapide proveniente da Serra di Marco

La lapide proveniente da Serra di Marco

Traduzione probabile:

SALVIO. LIBERTO DI LUCIO. (DEDICA) AD AGATO
PATULACIA (DEDICA) A PUBLIO LUCIO FILEMAZIO
E
A PUBLIO PATULACIO BASSO

La lapide, forse del II sec. d.C., crollò insieme al muro della casa, nel quale era stata inserita come materiale riutilizzato, per effetto del disastroso terremoto del 23 novembre 1980 e si spezzò in più parti.

In essa è evidente una certa inesperienza del lapicida nel suddividere gli spazi occorrenti per l’incisione delle lettere e, in particolare, la “o” finale del nome PHILEMATIo risulta rimpicciolita per mancanza di spazio.

L’altra iscrizione è su di un frammento di un cippo a baule di tipo lucano e reca la scritta D.M. (Agli dei Mani/Inferi) ed il nome ALBANIO.
Si intravedono anche altre lettere che non risultano chiare, tranne una V (Vixit?)

Le persone nominate nelle tre iscrizioni funebri trovano confronti in personaggi riscontrati anche in territorio beneventano.

Sulla gens Mevia si è soffermato il Prof. Rosario Rovira Guardiola nel XII Congresso internazionale di Epigrafia Greca e Latina (pp. 1265 e seguenti), ritenendola appartenere alla categoria dei commercianti. Appartiene a questa gente anche il nostro Marcus Mevius?

LA STRUTTURA POLITICA ED AMMINISTRATIVA DEL MUNICIPIUM

Dalle fonti antiche e dalle iscrizioni rinvenute, compresa ovviamente quella del nostro Marcus Mevius, è possibile ricostruire la struttura politica ed amministrativa del Municipium romano, nel nostro caso Aeclanum, alla cui pertica dovette appartenere, come detto in precedenza, anche il territorio di Carife in epoca romana, visto che nella stele si fa riferimento alla tribù Cornelia, la stessa di Aeclanum
Non sono state trovate fino ad ora tracce di altri Municipi più vicini: novità potrebbero venire dall’abitato individuato a Fioccaglia (non sono state ancora rinvenute iscrizioni) o dalla conferma definitiva dell’esistenza di un Municipium ipotizzato a Frigento.
Il nostro Marcus Mevius, stando al “ cursus honorum” (elenco delle cariche rivestite), è stato
AEDILIS, QUAESTOR e QUATTUORVIR IURE DICUNDO

L’EDILE, era addetto alla cura delle strade, degli edifici, dei costumi, all’organizzazione di alcuni giochi, alla sorveglianza di fiere e di mercati e alla vigilanza sulla sicurezza pubblica.

Il QUAESTOR (QUESTORE) esercitava funzioni amministrative ed amministrava la cassa pubblica.

L’ordinamento municipale prevedeva a capo della città un collegio di magistrati, i QUATTUORVIRI IURE DICUNDO, un quadrunvirato di magistrati che svolgevano le funzioni giudiziarie. Ciascuno di loro era detto “Quattuorvir”.

La condizione era contraddistinta dal fascio littorio, sul quale vale la pena spendere qualche parola.

I “fasces lictoriae” ( I fasci littori) erano, nell’antica Roma, un simbolo di potere e di autorità superiore (imperium).

Si trattava di un fascio cilindrico di verghe, a simboleggiare il potere, tenute insieme da fasce di colore rosso. Esso talvolta inglobava un’ascia, per simboleggiare il potere di vita e di morte.
A volte il fascio veniva usato per fustigare sul posto i delinquenti e l’ascia veniva usata per infliggere la pena capitale.

Essi servivano anche come mezzo di difesa da parte della scorta di “Lictores”, i particolari servitori dello stato incaricati di recare i fasces.

Al tempo del nostro Marcus Mevius, divennero appannaggio dei magistrati maggiori, cioè quelli dotati di imperium, e venivano trasportati davanti al magistrato, in numero corrispondente al suo rango, nelle cerimonie pubbliche e nelle ispezioni.
Marco Mevio, nella sua qualità di Pretore, aveva diritto a due littori in città e a sei littori quando usciva sul territorio.
Egli, per la carica, aveva anche funzioni annonarie (oltre a soprintendere a fiere e mercati), curava cioè le rendite annuali in denaro e in natura del Municipium; aveva, infine, compiti di sorveglianza sulle strade e sugli edifici pubblici.
Ogni cinque anni i due magistrati superiori assumevano anche funzioni censorie e redigevano la lista dei “decuriones”, decurioni o consiglieri del senato locale, organo che garantiva sia la stabilità che la continuità del potere a livello locale.

PER CONCLUDERE…

A Marco Mevio il nostro Comune ha di recente intitolato una via proprio nel luogo di rinvenimento della stele funeraria a lui dedicata.
Avrà avuto nel corso della sua vita meriti tali da invogliare e spingere i nostri amministratori a intitolargli una strada?
Per ironia della sorte beffarda, proprio nelle vicinanze della via intitolata a Marco Mevio, ce n’è un’altra che, nella stessa seduta di Consiglio, è stata intitolata agli Irpini…cui sicuramente gli antenati di Marco Mevio, se non lui stesso, avevano espropriato e sottratto le terre e, quel che più conta e scotta, l’identità culturale.
Ma forse l’intento dell’Amministrazione comunale era quello di voler favorire, proprio qui a Carife, l’incontro tra il lupo irpino (Hirpus in lingua osca = significa Lupo) e la lupa capitolina…
Ma le due vie sono parallele e…non si incontrano mai: l’incontro, anche con tutte le buone intenzioni dei nostri amministratori, non è riuscito ed è fallito anche questa volta!

E noi chi siamo? Siamo discendenti degli Hirpini, di Marcus Mevius, di entrambi, o di chi altri tra tutti quelli che si sono avvicendati sul nostro territorio?

Via Marco Mevio

Via Marco Mevio