San Rocco nacque a MONTPELLIER (Francia) da famiglia agiata. Perduti i genitori in giovane età, distribuì ai poveri i suoi averi e si incamminò in pellegrinaggio verso Roma, seguendo la famosa “Via Francigena”. Arrivato in Italia, durante le epidemie di peste, girò per soccorrere i contagiati, anziché evitare i luoghi ammorbati. L’epidemia di cui si tratta era la cosiddetta “Peste nera”, che intorno al ‘300 devastò l’Europa.
San Rocco intervenne anche in altre epidemie, occupandosi dei malati, che a volte venivano abbandonati anche dai propri familiari. Molti di essi guarirono in modo miracoloso, cosa questa che iniziò a far emergere presso la gente il valore carismatico e taumaturgico del nostro Santo. Il ritorno da Roma a Montpellier, intorno al 1368, fu interrotto da una nuova epidemia di peste. Rocco si fermò a Piacenza per curare gli appestati, ma rimase contagiato dal morbo. Si trascinò fino ad una grotta per curarsi ma, soprattutto, per non diffondere lui stesso il contagio.
La tradizione antica vuole che un cane, dipinto o scolpito poi da molti artisti ai piedi del Santo, abbia provveduto quotidianamente a portargli un pezzo di pane sottratto alla mensa del padrone, il nobile signore del castello di Sarmato, Gottardo Pallastrelli. Rocco, soccorso e curato poi dal nobile signore, guarì e riprese il suo cammino. Pare sia morto all’età di 32 anni, nella notte tra il 15 e il 16 agosto di un anno non precisato tra il 1376 e il 1379, ma non si sa dove. Venne invocato come santo già dal 1414 durante il Concilio di Trento. Fu canonizzato nel 1584 e Papa Gregorio XIII ne fissò la festa al 16 agosto.
Il culto di San Rocco è popolarissimo da secoli in Europa e la devozione nei suoi confronti è enorme e molto radicata ovunque. Lo si invoca tutt’oggi contro la peste, malattia che non lasciava scampo e che a più riprese si diffuse per contagio, mietendo milioni di vittime. San Rocco viene anche riconosciuto protettore e patrono contro le altre malattie contagiose, AIDS compresa. E’ invocato anche contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, che qui non sono mai mancate. E’ patrono pure degli invalidi, dei prigionieri e degli emarginati, avendo egli provato le stesse situazioni quand’era in vita.
LA PROCESSIONE CON I “MEZZETTI”
A Carife, come nei paesi vicini, la devozione e la venerazione nei confronti di San Rocco, sono molto sentite: molti ritornano in paese da lontano proprio per la festa e seguono la processione scalzi, invocando la protezione del Santo. Una volta molte più donne precedevano la processione, reggendo sulla testa un pesante “mezzetto” colmo di grano e addobbato come un trofeo, con nastri, trine, veli, collane, luci variopinte e l’immancabile figura del Santo. Per abbellirlo ed impreziosirlo, venivano utilizzate anche coperte lavorate all’uncinetto in maniera artigianale. Conteneva il grano che si intendeva donare a San Rocco per ringraziarlo della protezione ricevuta o per chiedere una grazia. Spesso le donne si avvicendavano nel trasporto del “mezzetto”, perché era pesante. Talora era solo un simbolo dell’offerta che si intendeva fare e conteneva pochi chili di grano, collocato su un’ imbottitura interna del “mezzetto”.
Altri, più benestanti, precedevano la processione portando a dorso di mulo o di asino una “sarma” di grano, circa un quintale, ricoperta con la solita coperta all’uncinetto. In seguito diminuirono fino a scomparire del tutto i muli e gli asini, e con essi i “mezzetti”, e si inserirono i trattori agricoli, creando qualche pericolo di troppo.
Da un po’ di tempo i “mastri di festa” (Comitato) cercano di incoraggiare il ritorno al “mezzetto”, sicuramente più consono alla tradizione: già se ne vedono parecchi, osservati con una certa curiosità soprattutto dai più giovani.
Esistono, nei paesi vicini, altre forme di devozione quali, ad esempio, il bel “carro” o “giglio” di Flumeri, un artistico obelisco fatto con il grano, sicuramente più elaborato e famoso. Dei “mezzetti “di Carife però non abbiamo confronti altrove.
Il “mezzetto” (“lu mezzett”) era un antico strumento o unità di misura , sia del terreno che di derrate alimentari, quali grano, granone, orzo, avena, olive, ecc). Quello utilizzato come unità di misura per derrate era un recipiente a forma cilindrica (molto spesso a tronco di cono): Era costituito da doghe di legno tenute insieme da cerchi leggeri in ferro e conteneva, colmo e rasato, circa 20 Kg di grano. Esistevano anche multipli e sottomultipli: il “tomolo” ( in dialetto “lu tumml”) conteneva due “mezzetti”. C’era poi la “misura”, che conteneva due Kg di grano e il “quarto”, equivalente a metà “mezzetto”. La “sarma”, quanto poteva portare un mulo, era l’equivalente di 100 Kg, come detto in precedenza.
Nella misurazione agraria carifana invece il “mezzetto” era equivalente a circa 1.666 metri quadrati, la metà del “tomolo” (3333 metri quadrati). C’erano poi la ” misura” (circa 138 metri quadrati), equivalente alla dodicesima parte del “mezzetto” e il “quarto” , equivalente a sei misure di terra. Il “sacco” (in dialetto “lu suacc”) era l’equivalente di un ettaro, costituito da tre “tomoli”.
Tali unità di misura, ancora oggi utilizzate nelle conversazioni e nei riferimenti degli anziani, rimasero in vigore fino al 1885, anno in cui si decise di unificare le misure, non solo a livello italiano.
Molti compaesani, emigrati in varie parti dell’Italia e del mondo, ritornano ancora oggi a Carife in occasione della festa di San Rocco per dimostrare la propria fede e la propria devozione al Santo. Spesso, in passato, ritornavano anche per partecipare all’asta, che aggiudicava ai vincitori il diritto di trasportare la statua a spalla, per le vie del paese.
L’asta era disciplinata dall’accensione di un cerino, che, una volta esaurito, stabiliva il gruppo aggiudicatario. Solo più tardi il cerino fu sostituito da un più moderno cronometro, messo in mano ad un rappresentante delle forze dell’ordine. Comunque non sono mancate per il passato le discussioni, soprattutto tra i sostenitori dell’uno o dell’altro gruppo.
I gruppi che partecipavano all’asta erano solitamente due e spesso erano costituiti da più persone (giovani ed anziani) rivali, anche per questioni politiche: raccoglievano una somma di denaro, a volte anche consistente, e designavano un portavoce che rilanciava le offerte per l’asta. I soldi venivano consegnati poi al comitato festa. Ovviamente risultava aggiudicatario il maggior offerente. Oggi l’asta non si fa più e qualcuno rimpiange ancora il tempo in cui si faceva.
Tra i più accaniti partecipanti a questo importante avvenimento mi piace ricordare l’amico Enzo De Angelis (Scr’vall’), che tornava dagli Stati Uniti dove ancora si trova, Natalino Lo Russo da Roma, Michele Pezzano (“P’zzaniedd?) da Pomezia, Michele Di Palma (Z’pp’tiedd) da Roma ed il cognato Michele Famiglietti (De Gasperi), passato a miglior vita.
Mi sembra doveroso ricordare qui i più famosi “mastri di festa”, che si sono sempre adoperati, nel passato, per la buona riuscita di essa:
TEDESCHI MARIANO (PEPPINO “STACCIONE”), fratello di DON VINCENZO;
MELCHIONNA ARTURO ( ARTURO RE ‘NVI’ LU CANTUNIER’)
FORGIONE GERARDO ( G’LARDON’ LU MALLITT’);
MUSCILLO NICOLA (PIU’ NOTO COME NICOLA MUSCILLO);
SALLICANDRO MICHELARCANGELO;
IZZO PAOLO (PAULUCC’ RE LEZZ’LARIO);
BARRASSO ROCCO (ROCCO LION’);
INFANTE GIOVANNI;
ADDESA FRANCESCO (LU VIGNARUL’);
DE CICCO AURELIO (“ARECCH’ MUZZ”);
GUIDA LORENZO (FRUSCION’).
Molti di noi hanno forse ancora negli orecchi i fragorosi botti dei “mortaretti” preparati con grande maestria da ROCCO MICCIOLO (MAST’ ROCC’ LU SPARATOR’) e accesi sul “passetto” della piazza durante la processione, mentre noi ragazzi mangiavamo fette di cocomero, sgranocchiavamo noccioline americane o gustavamo nei coni i gustosissimi gelati preparati e venduti, in forma ambulante, dalle figlie di “Ngiulina La Penta” e Lorenzo Loffa ( “Z’ Larienz’ Cazzullo”). Più tardi il fuochista fu Alfredo Zufolo detto “Zuf’lett”, famoso per le sue micidiali batterie.