Per poter stabilire l’esatta ubicazione delle località e l’esatto percorso delle vie di comunicazione dell’Irpinia antica, occorre poter disporre di un ricco materiale archeologico e di risultati di scavi, che fino a qualche tempo fa mancavano.
Questa situazione era stata lamentata e deplorata già da molti studiosi, e in particolare dal Mommsen (1) e da Giovanni Oscar Onorato (2) Gli scavi infatti erano stati concentrati quasi sempre nel sito di Aeclanum ed in quello dell’area del santuario dedicato alla dea Mefite, in territorio di Rocca San Felice. Per lungo tempo l’Irpinia è rimasta ai margini dell’esplorazione archeologica, mentre gli scavi si facevano un po’ dovunque nell’Italia meridionale.
Solo dopo il sisma del 23 novembre 1980 la ricerca archeologica è stata estesa anche ad altre aree della provincia, in quanto demolizioni (vedi Conza) e necessità di reperire nuovi siti per ricostruire ha indotto, spesso costretto, la Soprintendenza archeologica competente per territorio ad intraprendere campagne di scavi, con una certa sistematicità, qua e là nell’intera provincia. Gli scavi hanno offerto nuovi scenari ed i risultati sono stati molto soddisfacenti, ed in qualche caso insperati.
Importante era stata una prima ricognizione del suolo irpino, effettuata dal Mommsen, uno studioso tedesco, verso la metà del secolo scorso: era stato invitato dai Cassitto di Bonito, archeologi per diletto, che erano giunti a formarsi addirittura un museo privato. Furono proprio essi a dare grande impulso a queste ricerche, con animo di pionieri e con una grande passione per l’archeologia e per la propria terra, dove ancora oggi che scava alla ricerca di vestigia antiche viene considerato alla stregua di un sognatore, se non addirittura pazzo.
Nel 1847 il Mommsen effettuò, a dorso di mulo, una prima ricognizione del territorio irpino, visionando località, scavi, oggetti e ritrovamenti in genere. Scrisse in due riprese ed in anni successivi (1847-1848) una nota “Sulla topografia degli Irpini”, che purtroppo rimase per lungo tempo l’unico studio di questo genere circa l’Irpinia, degno di fede per rigore scientifico (3).
Altri studiosi, condizionati da scarso rigore scientifico e da inutili campanilismi, hanno spesso fornito, con cervellotiche ed improponibili etimologie dei vari toponimi, un quadro che ha creato un’indicibile confusione.
Nel suo articolo il Mommsen, con grande acume e con ricchezza di dati, esamina l’ubicazione delle maggiori città dell’Irpinia romana e della rete viaria:torneremo in seguito su questo articolo.
Nel 1930 lo Sgobbo effettuava la ricognizione delle mura di Aeclanum con un dotto studio sull’argomento e dava notizia di alcune iscrizioni rinvenute ad Aeclanum, fra cui quella famosa in osco della base o ara dedicata alla dea Mefite (4).
Il punto sulla ricerca archeologica in Irpinia fu fatto da Giovanni Oscar Onorato nel 1960. Egli già allora auspicava una ripresa degli scavi, che purtroppo avverrà solo molto più tardi.
Per tracciare le linee della topografia degli Hirpini dobbiamo muovere dagli elementi di certezza di cui disponiamo. Per fissare il sito delle antiche città bisogna innanzitutto partire dalle lapidi e dalle iscrizioni che sono state trovate e che spesso erano state riutilizzate come materiale da ricostruzione, ricoperte da intonaco e spesso rovinate.
Per stabilire poi il percorso e la direzione delle vie di comunicazione bisogna fare riferimento alle colonne miliarie rinvenute.
Tutti questi oggetti, o documenti, possono essere stati trasportati nel sito di ritrovamento da altri luoghi.
NOTE:
Cfr. Bullettino dell’Istituto di corrispondenza archeologica, 1847/48, pag. 162 e seg., e pag. 4 e seg.;
G. O. ONORATO, La ricerca archeologica in Irpinia, Avellino, 1960;
MOMMSEN, Sulla topografia degli Irpini in “Bull. d. inst. Corr. Archeologica, 1847, pag. 161 e seguenti, 1848, pag. 4 e seg.;
Cfr. Cfr. il suo articolo in “Notizie degli scavi”, 1930, VI, pag. 404.
L’indagine si può condurre solo per l’epoca imperiale, giacchè per l’epoca repubblicana i reperti archeologici sono quasi inesistenti e non possiamo dire nulla di certo e di preciso.
Un elenco quasi completo delle città appartenenti al territorio irpino lo troviamo in Plinio (1). Dice infatti Plinio che oltre alla colonia di Beventum, chiamata una volta Maleventum, vi sono gli Aeculani, gli Aquilonii, gli Abellinates soprannominati Protropi, i Compsani, i Caudini, i Liguri soprannominati Corneliani e quelli soprannominati Bebiani.
Un diverso elenco delle città irpine lo troviamo in Tolemeo, astronomo, astrologo e geografo greco, vissuto ad Alessandria d’Egitto tra il 100 ed il 175 d. C. (2): “Città degli Irpini…sono Aquilonia, Abellinum, Aeclanum, Fratuolum…” Attribuisce poi (3) Tuticum, Beneventum e Caudium ai Sanniti. Abella viene attribuita ai Campani e Compsa ai Lucani.
Quando abbiamo parlato della conformazione geografica della regione abbiamo fatto coincidere i confini dell’Irpinia con ostacoli naturali e non è un caso se quasi tutte queste città menzionate da Plinio e da Tolemeo si trovino ai margini, mentre la sola Aeclanum si trova in posizione centrale.
Il confine con la Regio IV (Samnium), non è stato mai ben definito, in quanto il territorio irpino si presenta più aperto da quella parte. Si può spiegare così il motivo per il quale Tolemeo attribuisce Tuticum, Beneventum e Caudium ai Sanniti. Molto probabilmente segue un ordinamento più tardo di quello dato da Augusto, dal momento che “le divisioni dell’Italia variano sempre secondo le amministrazioni: esse non riproducono mai esattamente le undici regioni di Plinio”. (4).
L’attribuzione di Compsa ai Lucani è derivata invece da un errore tecnico di Tolemeo, dal momento che per tutte le altre fonti questa città è sicuramente irpina. Il Thomsen dice che la ragione per la quale Tolemeo mette Compsa tra le città appartenenti ai Lucani è da ricercarsi nel fatto che mette la posizione astronomica di Compsa 10’ a sud-est di Volcei Lucana (Buccino), quindi chiaramente in territorio appartenente ai Lucani. L’errore di Tolemeo consiste proprio in queste errate coordinate date a Compsa dalla sua mappa (5).
Anche Beneventum viene considerata città irpina dagli studiosi moderni. Il Salmon (6) dice addirittura che Maleventum era la Hirpinian capital, e che Compsa rimpiazzò Beneventum come “The hirpinian administrative centre”, una volta che quest’ultima diventò colonia romana nel 268 a. C.. Il Mommsen sostiene invece che questo compito spettò ad Aeclanum (7), a proposito della quale sempre il Salmon dice che può essere diventata importante solo
in un secondo momento (8).
Tratteremo singolarmente delle città, seguendo il percorso della Via Appia dal momento in cui entra in territorio irpino a Caudium fino a quando ne esce al “Pons Aufidi”, localizzato dalla maggior parte degli studiosi nel “Ponte Santa Venere”, nelle vicinanze dello scalo ferroviario di Rocchetta Sant’Antonio (Foggia). Solo Compsa ed Abellinum infatti non sono toccate da questa via.
NOTE:
PLINIO, N.H., III, 105;
PTOLEMAEUS, III, 1, 7;
PTOL., III, 1, 67;
C. JULLIAN, Les trasformations politiques de l’Italie sous les empereurs Romains, Paris 1884, pag. 85;
Cfr. R. THOMSEN, The Italic regions, Roma 1966, pag. 51;
E.T. SALMON, op. cit., pag 289;
CORPUS INSCRIPTIONUM LATINARUM (C.I.L.), IX, pag. 98;
E. T. SALMON, op. cit., pag. 289, nota 3.
La prima città incontrata dall’Appia, ai margini del territorio irpino, era Caudium, la famosa località delle Forche Caudine, dove i Romani dovettero subire l’onta della sconfitta (1). Questa città si trovava nella parte Ovest della Regione irpina, alla fine dei monti della catena del Partenio, che da Avellino vanno appunto fino a Caudium, abitata dai Caudini.
Comunemente gli studiosi localizzano questo centro nei pressi di Montesarchio, in provincia di Benevento, intorno alle pendici del Monte Taburno (2). Livio poi in IX, 2, accenna ad un passaggio dei Romani per questa località “per cavam rupem” (attraverso un passaggio incassato nella roccia).
Il Nissen (3) è propenso ad identificare le “Caudii cauponas” di Orazio (4) con la “Civitas et mansio Caudiis” menzionata a più riprese dagli Itinerari (5).
Si ha qualche dubbio tra gli studiosi circa l’attribuzione di questa città agli Hirpini: Tolemeo (6) dice che apparteneva al Sannio, intendendo con questo nome quello vero e proprio, mentre Plinio invece la dice irpina (7). Probabilmente aveva ragione Plinio e non solo perché Tolemeo nicorre spesso in questi errori (vedi Compsa e Beneventum); Strabone (8) poi sotto il nome di Sanniti comprendeva sempre anche gli Hirpini. Nelle iscrizioni che si riferiscono a questo importante centro figurano IIIVIRI IUR. DI: (quattuorviri iure dicundo) e quindi doveva essere un Municipium: le colonie invece erano rette da IIVIRI.
Circa la localizzazione di Beneventum non sussiste alcun tipo di dubbio, in quanto le testimonianze archeologiche probanti sono fin troppe.
Secondo la Tabula Peutingeriana tra Caudium e Beneventum intercorreva una distanza di 11 miglia, la stessa indicata dall’Itinerario Antonino. Essa è considerata quasi unanimente la città primaria degli Hirpini. Salmon (9) sostiene che Beneventum era addirittura “the Hirpinian capital”. Il suo territorio confinava a Sud con Caudium e Abellinum, a Est con Aeclanum ed Aequum Tuticum (Castel Franco in Miscano), a nord con i Ligures Baebiani e Telesia, ad Ovest con Saticula (Sant’Agata dei Goti).
La città è chiamata con vari nomi dagli autori antichi: Stefano Bizantino (VI sec. d. C.?) nei suoi Etnica la chiama Maloenton, in latino abbiamo Maleventum in Livio (10) in Festo e in Plinio e Maluentum nei Commentari all’Eneide di Servio (11).
Viene nominata per la prima volta durante le guerre sannitiche (12).
Dopo la battaglia vinta dai Romani contro Pirro (275 a. C.), Maleventum diventò colonia romana ed il suo nome fu cambiato in Beneventum (13). Ottenne la cittadinanza quasi certamente al tempo della guerra sociale e rivestì la forma di Municipium (14), come si deduce dalle iscrizioni, nelle quali ricorrono IIIIVIRI quinquennales (15) e IIIIVIRI AEDILES (16).
NOTE:
Cfr. LIVIO, IX, 2 e APPIANO, Samnitium, 4;
NISSEN H., Italische landeskunde, II, pag. 806-807; E. T. Salmon, op. cit., pag. 225 e ss.;
NISSEN, op. cit., pag. 807;
ORAZIO, Satire, I, 5;
Cfr. ITINERARIO ANTONINO, p. 111; ITINERARIO HIEROSOLOMITANUS, 610; TABULA PEUTINGERIANA, 6, 4; GEOGRAFO RAVENNATE, 4, 33;
TOLEMEO, III, 1, 67;
PLINIO, Naturalis Historia, III, 105;
STRABONE, VI, 1, 3 = C 254;
SALMON E. T., op. cit., pag. 268;
LIVIO, IX, 27, 14;
SERVIO, Ad Aeneidos, II, 246 e VIII, 9
LIVIO, loc. cit.;
Cfr. VELLEIO PATERCOLO, 1, 14; POLIBIO III, 90, 8; PLINIO, N. H., III, 105;
CIL, IX, pag. 137; Cfr. anche E. UFANNI, Storia dei Municipi, Roma 1947, Pag. 155-156;
CIL, IX, 2121;
CIL, IX, 1632, 1634.
Beneventum è detta esplicitamente colonia nelle iscrizioni 1418, 1538, 1670, 1685, registrate nel IX volume del CIL e i suoi sommi magistrati sono detti IIVIRI iure dicundo, come risulta dalle iscrizioni registrate ai numeri 1419, 1614, 1615, 1643, 1657, 1660 sempre del IX volume. Da questa città passavano diverse strade, tanto che il Mommsen sostiene che Beneventum “viarum Italiae inferioris tamquam caput et cardo est” (1). Colà infatti arrivava l’Appia, che poi si diviceva in due: un tratto che conservava il nome di Appia e che si dirigeva a Venosa, a Taranto e a Brindisi e un tratto che prese il nome di Traiana, che andava verso Canusium (Canosa) e indi a Bari e Brindisi “recto itinere”. Il Mommsen fa confluire a Beneventum altre tre vie (2): una che andava a Sepinum nel Sannio, un’altra ancora si dirigeva verso Abellinum, città che la Tabula Peutingeriana pone a 15 miglia a Sud di Beneventum, attraversando la valle del fiume Sabatus (Sabato). Una terza via portava poi verso Telesia (Telese).
La tribù di appartenenza di Beneventum era la Stellatina e la sua pertica (estensione del territorio) era molto vasta.
Dopo Beneventum l’Appia andava verso il fiume Calor (Calore), incontrando una località di nome Nuceriola, considerata dagli Itinerari una Statio della stessa via. La sua ubicazione è concordemente fissata dagli studiosi in località Pastena o Pastine e gli Itinerari la collocano a 4 miglia da Eclanum. Sempre negli Itinerari la troviamo nominata diversamente (3).
L’Appia arrivava poi ad Aeclanum, importante centro del quale parleremo in un apposito capitolo.
NOTE:
CIL, IX, pag. 137;
CIL, ibidem;
SUB ROMULA-ROMULEA
Da Aeclanum l’Appia proseguiva verso Est, in direzione di Trivicum, nominata da Orazio come “villa Trivici” (1), località ancora di difficile ubicazione, ma da ricercarsi, secondo i più ormai, sul contrafforte di Trevico, in Baronia.
Arrivava poi l’Appia a Sub Romula o Romulea, mansio degli Itinerari collocata a XVI miglia ad Est di Aeclanum (2). Questa importante città sannitica viene localizzata quasi unanimemente nel territorio dell’odierna Bisaccia (3).
Il Mommsen fu tra i primi a sostenere che Romulea andrebbe ricercata notevolmente più ad Ovest di Bisaccia. Il ragionamento da lui fatto in un suo articolo sembra abbastanza valido. Egli dice che se Aquilonia è da identificarsi con Lacedonia, cosa sulla quale tutti gli studiosi sembrano essere d’accordo, Romulea non può essere Bisaccia, in quanto tra questa e quella vi è una distanza di meno di un quarto di quella indicata dagli Itinerari. Sostiene poi, in modo abbastanza convincente, che la città va ricercata nei pressi di Trevico o forse di San Sossio. Se si guarda una comune carta geografica ci si rende conto che il grande studioso tedesco potrebbe aver ragione. Il Mommsen sostiene che Romulea è lo stesso sito della tanto discussa Villa Trivici, di cui parla Orazio nella Satira 1, 5, 79, quando il poeta dice:
Incipit ex illo montes Apulia notos ostentare mihi,
quos torret Atabulus et quos nunquam erepsemus,
nisi nos vicina Trivici villa recepisset
lacrimoso non sine fumo,
udos cum foliis ramos urente camino.
Hic ego mendacem stultissimus
usque puellam ad mediam noctem exspecto;
somnus tamen aufert intentum veneri;
tum inmundo somnia visu nocturnam
vestem maculant ventremque supinum.