La Baronia dei Sanniti/Hirpini – parte 2

LA NECROPOLI SANNITICA DI SERRA DI MARCO DI CASTEL BARONIA

Una volta ultimato lo scavo in località Addolorata di Carife la Soprintendenza decise di continuare la ricerca in località Serra di Marco di Castel Baronia: abbiamo detto in precedenza che qui, a seguito dei normali lavori di aratura, venivano fuori frammenti di ogni tipo e di tutte le epoche, iniziando dalla preistoria.
Lo scavo iniziò nella proprietà del Sig. Pasquale Primavera, a ridosso della strada che saliva da valle, e da subito riservò grandi sorprese. Egli mi aveva riferito che, mentre un giorno lavorava in un appezzamento di terreno di sua proprietà in località Serra di Marco di Castel Baronia, aveva rinvenuto una tomba, il cui corredo era costituito da diversi vasi, tra cui due molto grandi (in seguito si appurò che si trattava di una tomba del V sec. a. C.). Uno dei due vasi, una grossa olla dipinta a fasce brune e rossicce, venne da subito utilizzata per preparare il verderame necessario per irrorare le viti e proteggerle dalla peronospora; l’altro, uno splendido cratere, era stato impiegato invece, previa tinteggiatura con vernice verde, per mettere a dimora una pianta di oleandro e collocato sul balcone di casa. Entrambi i vasi furono poi recuperati, restaurati e messi al sicuro: rimarrà comunque fisso per sempre nelle mia mente, ma soprattutto nel mio cuore, lo sgomento e la meraviglia che lessi sul volto e nello sguardo del compianto Prof. Johannowsky, quando alzò gli occhi verso il balcone e vide quel vaso…

Nel corso dell’estate del 1981 un trattorista di Castel Baronia fu chiamato, come negli anni precedenti, ad arare nuovamente quel campo. Nella mia qualità di Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali avevo provveduto preventivamente a suggerire a Sonia, la figlia più piccola del Sig. Pasquale Primavera, del quale ero tra l’altro molto amico, di sorvegliare il lavoro di aratura. La vispa ed attenta ragazzina svolse assai diligentemente il suo lavoro: quando vide che il trattorista aveva sconvolto una tomba con l’aratro, che era sceso dal mezzo ed aveva recuperato uno splendido ed integro grosso vaso e se l’era portato via, corse immediatamente a Carife, per avvisarmi dell’accaduto. Senza perdere un attimo di tempo corsi a Castel Baronia e mi recai a casa del trattorista: qui in un baraccone, in prossimità di una fresa, era poggiato per terra uno splendido ed integro cratere calcidese, con dipinti dei fiori di loto sulle anse. Dopo qualche resistenza, con l’aiuto determinante dei Carabinieri, il prezioso reperto fu recuperato e portato in caserma: successivamente quel cratere avrebbe ben figurato in tutte le mostre ad iniziare dalla prima, che fu inaugurata proprio a Carife il 15 Maggio 1982.
Subito dopo aver recuperato, in maniera anche rocambolesca quel vaso, mi recai a Serra di Marco nel luogo in cui era venuto fuori e qui, muovendo appena il terreno con una zappa, poco più in profondità, recuperai anche gli altri splendidi vasi, tutti intatti, che erano a corredo della tomba: fu proprio questo il motivo che spinse Werner Johannowsky ad allargare e continuare lo scavo, partendo proprio da questa tomba, che si trovava proprio a ridosso della strada in battuto che saliva da valle Ufita; da subito lo scavo riservò grandi sorprese e in un’area assai ristretta e circoscritta, ubicata a qualche centinaio di metri dalle sorgenti di Acquara e Tufara di Castel Baronia, furono portate alla luce ben 135 ricchissime tombe sannitiche, riferibili per la maggior parte al V sec. a. C.; stando alle testimonianze di chi coltiva quei campi, sicuramente ce ne sono ancora molte altre, anche nelle aree adiacenti.

Riassumiano ora brevemente ciò che è stato scritto su questa necropoli e sui reperti in essa recuperati.

I corredi sono costituiti da numerosi vasi, la cui forma e funzione fanno chiaramente riferimento all’ideologia del banchetto: la grande olla per l’acqua, generalmente ai piedi, il cratere – a colonnette, di tipo laconico, e cosiddetto calcidese – di grandi dimensioni, per la mescita del vino, e ancora brocche, coppe, coppette, piatti su alto piede, in argilla figulina generalmente ben depurata, con la tipica decorazione bicroma in rosso bruno, a fasce parallele e linee ondulate di tradizione locale.
Altri vasi, come il kantharos sono in bucchero o in impasto, o, come lo skyphos e Oinochoe trilobato, sono decorati a vernice nera; essi provengono per lo più da Capua, in questo periodo centro di irradiazione del commercio di questo vasellame.
Nelle tombe femminili le fibule sono di ferro, di forma triangolare, ad arco foliato o ad arco spezzato.

Della seconda metà del V° secolo a.C. è una sepoltura a incinerazione; al IV° secolo appartengono poche sepolture, tra cui una tomba a tegole a cappuccina e due tombe a tegole a cassa.
Le necropoli di Castel Baronia si rivela di notevole interesse per la presenza, nei corredi, di vasi di bucchero di produzione locale ad imitazione di quelli etruschi, e di cinturoni in bronzo, che anticipano quella che sarà una connotazione del costume funerario sannita del IV° secolo a.C., quando diffusa sarà nell’ideologia funeraria l’esaltazione del defunto come guerriero le armi infatti sono sempre presenti nelle Necropoli delle Valle dell’Ufita e tra queste primeggia il cinturone segno di prestigio del defunto a cui appartiene. Ma non manca neanche “l’influenza della cultura greca nell’affermarsi prima dell’ideologia del banchetto funebre e poi dell’ideale efebico, che traspare dall’uso dello strigile strumento tipico dell’atleta, che si accompagna alle armi nelle uniche sepolture a cremazione note dall’ambiente Sannita”. (Matilde Romito).
I corredi tombali di Serra di Marco sono molto simili a quelli di Carife, Casalbore e Aufidena.

Tombe del V sec. a. C.  dalla Necropoli sannitica di Serra di Marco di Castel Baronia

Tombe del V sec. a. C. dalla Necropoli sannitica di Serra di Marco di Castel Baronia

I reperti provenienti dalle tombe n. 58 e n. 62 di Serra di Marco furono esposte a Roma in occasione della mostra sui Sanniti, allestita presso le terme di Diocleziano. Di esse si parla  nell’apposito capitolo dedicato a quella mostra, nel quale viene riportato il giudizio espresso  dal Prof. Johannowsky.

Riportiamo ora alcune foto relative alla necropoli di Serra di Marco:

archeologia carife av

Parte del corredo di una tomba del V sec. a. C. da Serra di Marco

Tomba “a cassa” da Serra di Marco (Fine VI sec. a. C.)

Tomba “a cassa” da Serra di Marco (Fine VI sec. a. C.)

La tomba n. 58 di Serra di Marco con due cinturoni

La tomba n. 58 di Serra di Marco con due cinturoni

Tombe del V secolo a.C. da Serra di Marco di Castel Baronia

Tombe del V secolo a.C. da Serra di Marco di Castel Baronia

Tomba del V Secolo a. C. da Serra di Marco

Tomba del V Secolo a. C. da Serra di Marco

Parte del corredo di una tomba del V sec. a. C. da Serra di Marco di Castel Baronia

Parte del corredo di una tomba del V sec. a. C. da Serra di Marco di Castel Baronia

LA NECROPOLI SANNITICA DI PIANO LA SALA DI CARIFE

 Gli scavi in località Piano la Sala furono intrapresi nel 1984,  subito dopo aver ultimato quelli di Serra di Marco, in agro di Castel Baronia. L’indagine archeologica preventiva si era resa necessaria in quanto proprio a Piano la Sala l’Amministrazione Comunale, da me presieduta in quegli anni, aveva intenzione di creare una zona artigianale e commerciale.

La zona non era nuova a ritrovamenti archeologici: durante i soliti lavori di aratura venivano fuori costantemente frammenti, che, con il senno di poi, sarebbero stati inerenti ad una frequentazione umana spaziante dal Neolitico al Medioevo.

In particolare in quest’area erano state sporadicamente recuperate negli anni precedenti una lekythos a vernice nera databile IV secolo d. C. ed una bella fibula d’argento della stessa epoca. Entrambi i reperti furono consegnati al Prof. Johannowsky.

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La bellissima Lekythos di Piano la Sala

Si racconta che in passato era stata recuperata anche un’altra fibula, sempre d’argento, recante incisa una croce uncinata/svastica; si ignora che fine abbia fatto, ma potrebbe essere proprio questa la fibula che aveva visto presso un insegnante elementare il Prof. Italo Sgobbo e della quale mi chiese notizie il 21.3.1973, giorno in cui discussi la mia tesi di laurea.
Mio padre poi mi raccontava che mentre arava col trattore proprio quel terreno (individuato in Catasto al Foglio 7, particelle 3 e 98), sconvolse una tomba ed emersero ossa, la punta di una lancia molto corrosa dalla ruggine ed una patera in rame/bronzo, anch’essa molto mal ridotta.
Per questo motivo il terreno, che mi sarebbe stato donato poco dopo da mio padre, fu scelto per iniziare lo scavo.
Furono effettuati diversi saggi per settori di scavo quadrati, aventi lato di metri 4; tra un settore e l’altro veniva tralasciata una parte. Naturalmente si toglieva prima il terreno vegetale lavorato nel corso degli anni e si seguiva e si documentava poi con la massima accuratezza la successione stratigrafica, rilevandone i frammenti ed ogni altra traccia significativa. In questo modo la Dott.ssa Matilde Romito, quotidianamente presente sullo scavo, individuò 13 tombe sannitiche, tutte datate al IV secolo a. C., unitamente ai resti di quelle che erano state sconvolte dall’aratro, perché troppo superficiali.
Un elenco minuzioso e completo dei reperti è contenuto nell’opera “Guerrieri sanniti e antichi tratturi nell’alta Valle dell’Ufita”, pubblicata dalla stessa.
Durante lo scavo furono recuperati anche numerosi frammenti di epoche precedenti, che attestavano la frequentazione del sito fin dal neolitico.
Nella confinante proprietà dei Sigg. Mirabella furono portati alla luce anche i resti di una fornace sannitica, che dopo l’indagine fu subito reinterrata.
Nel corso del 1985 furono recuperate nel terreno di proprietà dello scrivente (particella 98 del Foglio n. 7) le tombe che furono numerate dalla 81 alla 88.
Tra i reperti di maggior rilievo recuperati in questa necropoli, situata a monte del Tratturo, sono da collocare i cinturoni, il culter tonsorius e le cuspidi di lancia o giavellotto, presenti in quasi tutte le tombe maschili; nelle tombe femminili sono invece presenti numerose fibule ed anelli d’argento, di bronzo o di ferro, e non mancano le collane con pendagli d’argento e d’ambra.
In una tomba maschile, la n. 85, fu rinvenuto anche un pugnale di ferro con fodero di bronzo ed un secondo cinturone. Molto interessante si rivelò la tomba n. 88, femminile, databile nella prima metà del IV sec. a. C.. In essa “sullo scheletro supino, presso il collo si rinvenne un piccolo vago di collana in argento a testa femminile, mentre appena più giù in basso sulla sinistra era una fibula in argento con arco a lamina tonda; all’altezza del fianco destro una piccola fibula ancora in argento era accompagnata da un anello. Si tratta di una sorta di castone ovale d’argento, decorato sulla superficie esterna ellittica con una filettatura ondulata e sulla faccia interna visibile con un motivo floreale spiraliforme attorno ad un forellino centrale. Ai piedi dello scheletro, sulla sinistra, c’era una coppa a . n. decorata internamente a rotella tura, mentre erano sparsi nella tomba vari chiodi di ferro” (Matilde Romito, op. cit., pag. 52).
In quest’area il Comune poi localizzò il PIP (Piano Insediamenti Produttivi) ed il sottoscritto, unitamente agli altri proprietari, mosse in tempo delle osservazioni, segnalando la presenza possibile di altre tombe, che potevano essere sfuggite allo scavo, effettuato non certo accuratamente ed in maniera sistematica in tutta la zona. Proprio nel terreno in questione lo scrivente ne ha localizzate almeno altre tre, di cui una in tegole “alla cappuccina” e due in blocchi di travertino, già segnalate alla Soprintendenza.
La Soprintendenza espresse poi parere favorevole alla localizzazione del PIP, a condizione che si effettuassero, a spese del Comune di Carife, indagini preventive su un’area di più di 50.000 metri quadrati. Poiché la somma necessaria per effettuare questo tipo di indagine è molto ingente e, almeno per ora, non è alla portata della nostra Amministrazione, allo stato attuale il progetto non sta avendo seguito.

INTANTO A VALLE DEL TRATTURO…

Una volta ultimata l’indagine archeologica nel terreno di mia proprietà si decise di proseguirla subito a valle della via comunale Tratturo, che lambiva anche il mio terreno. Si scelse un fondo appartenente al compianto Sig. Giambattista Schirillo, che diede bonariamente il suo consenso a che si effettuassero i lavori, senza che la Soprintendenza emettesse preventivamente il decreto di occupazione provvisoria del terreno.
La Dott.ssa Romito, nella sua pubblicazione più volte citata, distingue due necropoli: quella portata alla luce sulle particelle 3 e 98 del Foglio 7 (attualmente di proprietà dello scrivente), appartenente al IV sec. a. C., e quella portata alla luce a valle del Tratturo, appartenente al V sec. a. C..
L’area interessata era compresa fra il Tratturo e la parallela strada consortile di bonifica, fatta costruire, già negli anni Cinquanta del secolo scorso, dal Consorzio Bonifica dell’Ufita (CBU).
Per il primo settore di scavo fu scelto un angolo della particella 78, al confine con la proprietà Mirabella, proprio a ridosso del Tratturo. Subito arrivò la prima piacevole “sorpresa”: fu individuata una tomba, forse di bambina, che fu contrassegnata con il numero 60 nell’elenco complessivo delle tombe venute alla luce in territorio di Carife (ricordiamo che in quello di Castel Baronia ne erano già venute fuori ben 157).
Questa tomba apparteneva quasi sicuramente ad una bambina, del cui scheletro ormai non c’era più alcuna traccia: conteneva diversi vasi di piccolissime dimensioni e i resti di due statuine in terracotta; una delle due, riproducente un personaggio femminile seduto in trono, era ancora abbastanza conservata, mentre l’altra era mutila e quasi irriconoscibile. Tra i vasi c’era un bel tintinnabulum (sonaglietto) a forma di Askos, che letteralmente in lingua etrusca significa vaso ed in particolare è riferito ad un recipiente in terracotta a forma di animale, nel nostro caso di anatra. All’interno c’era una pallina che, se si agitava il reperto, produceva un dolce e gradevole tintinnio.

La tomba n. 60 di Piano la Sala (V sec. a. C.)

La tomba n. 60 di Piano la Sala (V sec. a. C.)

Il ritrovamento di questa prima tomba giunse per me totalmente inatteso, in quanto non mi aspettavo assolutamente che anche in quest’area ce ne fossero: l’area era stata scelta piuttosto a caso. La “piacevole sorpresa” della scoperta della tomba, la bellezza e l’integrità dei vasetti miniaturistici in essa rinvenuti produssero in me una gioia ed una soddisfazione immensa, che contagiò anche gli operai che lavoravano allo scavo e il giorno dopo anche Werner Johannowsky. La solenne ubriacatura di cui quel giorno fummo vittime (ricordate l’ottimo tokai prodotto e imbottigliato da mio padre?) appartiene ormai al passato…come le due iniezioni che il medico dovette praticarmi, per fare in modo che tornassi a respirare.

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Vasi miniaturistici a corredo della tomba n. 60 (Estratto da “Carife, città dei Sanniti”)

Statuina fittile dalla tomba n. 60 di Piano la Sala

Statuina fittile dalla tomba n. 60 di Piano la Sala

L’askos/tintinnabulum a forma di ochetta dalla tomba n. 60

L’askos/tintinnabulum a forma di ochetta dalla tomba n. 60

Olpe a vernice nera dalla tomba n. 60 di Piano la Sala

Olpe a vernice nera dalla tomba n. 60 di Piano la Sala

Gli scavi, dopo il rinvenimento di questa prima tomba, naturalmente furono proseguiti alacremente nello stesso fondo (particella 78) ed in quello adiacente (Particella 79) di proprietà della Sig.ra Maria Sallicandro: 50 furono le tombe portate alla luce, appartenenti quasi tutte al V secolo a. C..
In precedenza il sottoscritto aveva recuperato quanto rimaneva di altre 6 tombe, emerse più ad est sempre nella stessa fascia, mentre il compianto Angelo Raffaele Izzo (per tutti “Z’ Faluccio”) effettuava con la sua pala meccanica lo sbancamento necessario per la costruzione della casa e dell’officina attualmente gestita dal Sig. Antonio Clemente. Le tombe furono numerate dalla 23 alla 28.
I corredi di queste tombe erano molto simili a quelli rinvenuti a Serra di Marco di Castel Baronia ed erano costituiti prevalentemente da olle stamnoidi, Kantharoi e coppe con decorazione bicroma e a vernice nera, databili nel V sec. a. C..
La tomba contraddistinta con il n. 23 conteneva un’olla biansata con anse impostate orizzontalmente, databile al VI sec. a. C..
Particolarmente interessante era uno skyphos campano a figure nere (motivi vegetali a foglia), che si sviluppavano in prossimità dell’orlo superiore, rinvenuto nella tomba n. 26.
Nell’area adiacente, a destra dell’officina meccanica/rivendita auto fu condotta un’indagine esplorativa e, poiché non erano sufficienti i fondi disponibili, si preferì asportare con mezzo meccanico lo strato di terreno vegetale. Su questo lavoro fu chiamato a vigilare il compianto Giuseppe Clemente (per gli amici “Giotto”, per il fatto che spesso faceva anche l’imbianchino). Dopo i primi passaggi sul terreno del cucchiaio della pala meccanica del compianto Angelo Raffaele Izzo, che era già presente sul posto, uscirono le prime tombe ed intervenne immediatamente la Soprintendenza. L’indagine successiva portò alla luce diverse tombe sulla e in una di esse fu recuperato un cospicuo frammento di cinturone costituito da una doppia lamina di bronzo sovrapposta, unico del genere trovato a Carife.
Lo scavo intanto continuava sulle particelle 78 e 79 del Foglio 7 e venivano fuori molte tombe.
Tipologia e forma di molti reperti, specialmente quelle dei bellissimi vasi, erano assimilabili a quelle già riscontrate a Serra di Marco, nella necropoli sannitica dello stesso periodo, e notevoli erano anche le somiglianze con quelli recuperati a Casalbore.
Sullo scavo era sempre presente un anziano contadino, che abitava in contrada Piano la Sala fin dalla nascita: era stato il primo a ricostruire la sua casa, distrutta dal terremoto dell’Agosto 1962, nella fascia di terreno compresa tra la strada consortile di fondovalle Ufita e l’antico tratturo. La casa in cui abitava in precedenza, ora ridotta a una sorta di piccolo rudere, si trovava prima poco più a monte del Tratturo.
Raccontava spesso ciò che aveva sentito tramandare oralmente dai suoi antenati: a Piano la Sala sarebbe esistito un antico villaggio, retto da una principessa, distrutto e raso al suolo dai Romani, che ne avrebbero cosparso poi di sale le rovine; dopo l’avvenimento la località si sarebbe chiamata poi Piano la Sala. Pochi gli credevano, molti erano scettici, altri lo ritenevano solo un buontempone e qualcuno lo prendeva anche apertamente in giro.
Un fondo di verità però il racconto del nostro compianto contadino potrebbe anche averlo: era consuetudine per i Romani vincitori, che alla fine di un assedio distruggevano una città, come una maledizione spargere il sale sulle sue rovine, perché mai più quella città risorgesse.
Del resto i Sanniti/Hirpini non abitavano, come sostiene Tito Livio, proprio “vicatim”, ovvero in villaggi sparsi anche sul nostro territorio, vista la presenza di ben tre vaste necropoli?
Tra i reperti più significativi recuperati è sicuramente da collocare una splendida collana, i cui vaghi erano costituiti da grossi elementi di ambra figurata: a seconda della conformazione dei pezzi di questo prezioso materiale erano stati intagliati volti umani con prospettiva frontale o di profilo. Naturalmente non fu trovato il laccio che li teneva insieme, perché era sicuramente costituito da materiale biodegradabile.
Intanto la ricostruzione continuava a pieno ritmo e a Piano la Sala sorgevano molte nuove costruzioni. Dopo i Mirabella, subito dopo il terremoto del 23 Novembre 1980, fu la volta del Sig. Vito Sallicandro: nei mesi immediatamente successivi al terremoto, sfruttando disposizioni ed ordinanze appositamente emanate dal Commissario Straordinario per le zone terremotate, On. Giuseppe Zamberletti, costruì un ricovero provvisorio per sé e per la propria famiglia: non era prevista la richiesta di concessione edilizia al comune. Successivamente sulla stessa area ricostruì con i benefici della Legge 219/81 anche la propria abitazione. Non sappiamo cosa successe quando fu effettuato lo sbancamento da parte del Sig. Sallicandro, che comunque sembra non abbia scavato in profondità: le eventuali tombe presenti nell’area di sua proprietà potrebbero non essere state raggiunte ed altre potrebbero invece trovarsi proprio sotto il giardino/piazzale prospiciente l’abitazione realizzata.
Anche nel terreno confinante a destra, di proprietà del defunto Michelercangelo Santoro, l’indagine successiva evidenziò la presenza di alcune tombe a fossa, sempre della stessa tipologia delle precedenti.
Altre tombe sarebbero emerse in seguito anche sotto il battuto del Tratturo, quando si scavò la trincea per posare i tubi dell’acquedotto comunale: furono recuperate a cura della Soprintendenza.
Quando lo scavo fu ultimato la Soprintendenza spostò l’indagine altrove e, credendo di aver “liberato” completamente dalle tombe Piano la Sala, non provvide ad emettere alcun decreto di vincolo, né sull’area già esplorata (tra cui anche quella di mia proprietà), né su quelle limitrofe, dove ormai risultavano costruite già quattro abitazioni, un notevole complesso di ristorazione, con annesso parcheggio, e una grande officina meccanica, con annessa concessionaria di auto nuove ed usate.
Nel corso del 1985 il Sig. Gianbattista Schirillo ebbe il decreto per la ricostruzione di un immobile proprio sull’area in cui era stata recuperata la tomba n. 60 e diverse altre, individuata in Catasto dal Foglio 7, Particella. 78.
All’atto di effettuare lo scavo per la posa delle fondazioni, nella primavera dell’anno successivo, si rese necessario rimuovere il terreno vegetale, unitamente a quello già smosso in precedenza, all’atto dell’effettuazione dell’indagine esplorativa precedente. Sotto una cortina di ciottoli, scambiata in precedenza per una formazione geologica, la benna dell’escavatore urtò contro quella che sembrava essere, a prima vista, l’impugnatura di una spada. Antonio, figlio di Gianbattista, corse ad avvertirmi: ero ospite a pranzo presso i miei genitori, che abitavano a poche centinaia di metri dal luogo del ritrovamento. Naturalmente accorsi subito ed insieme cercammo di svellere dal terreno quell’oggetto, senza peraltro riuscirci. Si incominciò a rimuovere il terreno ed a scavare, anche con l’aiuto dei presenti, che crescevano continuamente di numero, anche perché proprio a fianco c’era il Bar Mirabella, sempre assai frequentato in quel periodo.
Lavorammo parecchio prima di raggiungere la base di quello che ormai appariva essere un candelabro di bronzo. Portammo alla luce, uno dopo l’altro tra un nutrito numero di curiosi, molti vasi, alcuni dei quali integri, altri frammentati. Sarebbe stata questa la famosa tomba n. 89, poi affiancata dalla n. 90 e dalla n. 91, appartenenti alla classe emergente.
Le tombe sono descritte nel capitolo relativo alla grande mostra sui Sanniti, che si tenne a Roma nel 2000 presso le Terme di Diocleziano.
Proprio mentre si stava effettuando lo scavo si ebbe la notizia che a poche centinaia di metri di distanza, quasi sulla riva destra del fiume Ufita, a seguito della consueta aratura, erano venuti fuori in una zona circoscritta numerosi frammenti di ceramica unitamente a tracce evidenti di strutture murarie e ad un vistoso crollo di tegole di copertura. Naturalmente gli operai furono spostati immediatamente nella proprietà del compianto Raffaele Santoro, e qui in breve tempo fu portata alla luce una stazione di culto del periodo ellenistico, unitamente ad un gran numero di resti di balsamari fusiformi, facenti parte quasi certamente della stipe votiva. Il pavimento era in cocciopisto e fu proprio la tipologia dei balsamari/unguentari a far datare questo tempietto al II secolo a. C.. Il trattorista, un mio omonimo cugino, consegnò al Prof. Johannowsky un bel balsamario perfettamente integro, raccolto sul terreno mentre lo arava col suo trattore.
Agli inizi del 1986 gli operai furono spostati prima in territorio di Flumeri, dove a Fioccaglia sarebbe stata individuato un abitato tardo ellenistico, e poi in quello di Casalbore, dove sarebbe stato portato alla luce un importantissimo santuario sannitico, sempre sotto la direzione del Prof. Werner Johannowsky. Nello stesso anno Werner era stato promosso Ispettore Centrale del Ministero dei Beni Culturali e dopo dieci anni di intenso e proficuo lavoro aveva lasciato il suo incarico di Soprintendenza.
Intanto la Soprintendenza Archeologica di Salerno, retta dalla Dott.ssa Giuliana Tocco, aveva avviato le pratiche necessarie all’emissione del decreto di vincolo di una vasta area di Piano la Sala, e finalmente in data 29 Agosto 1989 esso arrivò.
Il Decreto, a firma del Ministro Facchiano, era stato emesso nella considerazione che:
Nel Comune di Carife (AV) in località Piano la Sala, in seguito ad una esplorazione preventiva di una vasta area avvenuta nel 1984, è stata rinvenuta una necropoli risalente ad età sannitica che trova confronto con i sepolcreti sannitici di altre zone del Sannio;
Che le tombe rinvenute sono del tipo a fossa che trovano confronto con altre venute alla luce nel vicino territorio di Castel Baronia, databili al V – IV sec. a. C., con importanti corredi segno di prevalente prestigio sociale, e che tali necropoli si riferiscono all’abitato sannitico identificato con l’antica metropoli sannitica di Romulea;
Che in località Fiumara, nelle vicinanze del fiume Ufita in seguito a saggi preventivi sono state rinvenute strutture murarie riferibili ad una stazione di culto di età ellenistica, da cui provengono una serie di unguentari, ceramica a vernice nera ed una statuetta di dimensioni naturali, di marmo bianco che raffigura un fanciullo nudo seduto in terra che si identifica nel prototipo ellenistico del fanciullo che strozza l’oca, del tipo Efeso;
Che detti resti rivestono interesse particolarmente importante ai sensi della citata legge 1089/1939…
La statuetta acefala in marmo dell’isola di Paro rappresentava, secondo Werner Johannowsky, il dio Arpocrate, spesso raffigurato proprio in forma di fanciullo grassottello; questo recupero, oltre a confermare in maniera inequivocabile la datazione della stazione di culto, aveva finalmente determinato la Soprintendenza ad emettere il decreto di vincolo: meglio tardi che mai…
Intanto in contrada Piano la Sala si continuava a costruire: dopo il padre, nell’area adiacente, aveva costruito la propria abitazione anche Domenico Mirabella e, sull’altro lato il fratello Antonio,aveva aperto un negozio di generi alimentari, con annessa rivendita di generi di monopolio, e in seguito fu costruito anche un ristorante.
Poco sappiamo di ciò che emerse nella fase dello sbancamento per la posa delle fondamenta di queste costruzioni, perché l’intera area di Piano la Sala ancora non era stata sottoposta a vincolo. Sta di fatto però che Domenico Mirabella consegnò al sottoscritto un boccaletto monoansato bicromo, che fu dato al Prof. Johannowsky.

In data 25 Ottobre 1989 fu notificato un altro decreto di vincolo: il sottoscritto aveva segnalato la presenze di tracce evidenti di strutture murarie sulla particella 182 del foglio 8, ad un centinaio di metri dalla riva sinistra del fiume Ufita.
La Soprintendenza notificò il decreto al marmista Sig. Armando Maiullo, proprietario del terreno, in considerazione
Che nel Comune di Carife, loc. Cerreto in seguito ad uno sbancamento per la costruzione di un fabbricato rurale, sono venute alla luce strutture relative ad un complesso rustico romana repubblicana;
Che tali strutture trovano confronto con altre ville scoperte nei Comuni limitrofi e sono riferibili alla divisione agraria romana post-annibalica della Valle dell’Ufita.

Per la quasi costante ed ormai cronica mancanza di fondi non fu avviata alcuna indagine esplorativa e non è stato possibile saperne di più: tra i materiali più significativi venuti in superficie c’erano frammenti di stucco dipinti nel I° stile pompeiano e numerosi frammenti di ceramica d’uso di epoca romana.
Dopo il 1990 la Soprintendenza non fu più presente sul territorio del Comune di Carife e, per quanto io ne sappia, neppure su altri territori: gli scavi si fermarono quasi ovunque per mancanza di fondi e almeno a Carife ed a Castel Baronia non si verificarono altre emergenze.
Il sottoscritto segnalò la presenza di alcune tombe in prossimità della riva destra del torrente “Vallone di San Nicola”, in agro di Castel Baronia, ed inviò anche una dettagliata relazione con allegate le planimetrie necessarie per l’emissione del decreto di vincolo, ma nessuno mi ha mai contattato per effettuare il necessario sopralluogo.
Successe la stessa cosa anche quando segnalai che in località San Giuseppe di Vallesaccarda un contadino aveva scavato un pozzo nel bel mezzo di un ambiente di una villa rustica romana.
Nel frattempo era scaduto il mio incarico di Ispettore Onorario e qualcuno della Soprintendenza Archeologica di Salerno mi consigliò di rifare la domanda, forse perché quella già inviata in precedenza era andata perduta. Rifeci tutta la documentazione necessaria e la trasmisi in Soprintendenza, solo per sentirmi rispondere che l’incarico non mi poteva essere rinnovato, in quanto negli ultimi due anni non avevo svolto alcuna forma di collaborazione: la risposta mi sconcertò non poco e rimasi sinceramente di stucco. Come docente di Lettere presso la Scuola Media Statale di Carife avevo chiesto all’Ufficio periferico di Avellino di inviare personale qualificato a tenere lezioni di archeologia agli alunni, e la cosa era stata fatta con reciproca soddisfazione.
Ma la risposta, laconica ed offensiva, aveva cancellato ed annullato dieci anni e passa di stretta collaborazione e di proficuo lavoro, cosa questa che aveva consentito di ottenere i risultati che tutti conosciamo: ma forse a qualcuno premeva più distruggere quello che altri avevano fatto e creato.
Come conseguenza più immediata di questo atteggiamento si è verificato che il Museo Archeologico di Carife, costruito da tempo con notevole dispendio di risorse economiche, a tutt’oggi ancora non è stato aperto: è solo questione di burocrazia o questo ingiustificabile ed assurdo ritardo è determinato da altro?
Nel corso del 1994 il Sig. Domenico Mirabella presentò al Comune di Carife la richiesta di Concessione Edilizia per la ricostruzione e l’ampliamento del Ristorante “Valle Ufita”, di cui era proprietario e gestore. Naturalmente il Comune, trattandosi di area sottoposta a vincolo di tutela già dal 1989, inviò la richiesta alla Soprintendenza per l’emissione del nulla osta di competenza. La risposta arrivò nel mese di Ottobre del 1994 e fu richiesta un’indagine preventiva sulle particelle 304 e 305 del Foglio 7, per le quali era stato emesso il vincolo di tutela suddetto.
Naturalmente la spesa era a carico del malcapitato ristoratore, che spese un bel po’ di quattrini.
L’indagine esplorativa portò alla luce ben 13 tombe riferibili ad una necropoli di età sannitica e in data 1 Luglio 1997 la Soprintendenza, con propria nota “Considerato che è terminata l’esplorazione preventiva…autorizza le opere…limitatamente alla parte già esplorata”.
La Soprintendenza, in persona della Dott.ssa Giuliana Tocco, prescriveva poi che ogni altro lavoro da effettuare nell’area sottoposta a vincolo di tutela doveva essere sempre preceduto da esplorazione archeologica preventiva, sempre a spese del malcapitato sig. Mirabella, ed imponeva che “Tempi e modalità di tali interventi devono essere concordati con il personale tecnico scientifico dell’Ufficio periferico di Avellino, che andrà preavvertito con congruo anticipo dell’inizio dei lavori”.
Circa un anno dopo, in data 10 Giugno 1998, in risposta ad un’altra istanza prodotta dal Sig. Mirabella il 23.2.1998, la Soprintendenza rilasciò il nulla osta ed autorizzò “i lavori a condizione che gli stessi vengano seguiti dal personale tecnico-scientifico dell’Ufficio Archeologico di Avellino che dovrà essere preavvertito con congruo anticipo dell’inizio degli stessi”.

Il Sig. Antonio Mirabella dovette sostenere una spesa non indifferente, ma pensava di rifarsi quando gli sarebbe stato erogato il premio di rinvenimento spettante per legge e promesso dai funzionari. La pratica ebbe un iter assai tormentato e spesso fu rallentato dalla burocrazia: intanto erano mutati i parametri e le modalità di valutazione dei reperti per quantificare l’importo del premio e questo arrivò con molto ritardo e fu davvero irrisorio: l’importo erogato, al netto delle ritenute di legge, compensò solo in minima parte le spese sostenute per effettuare le indagini preventive.
Le tombe emerse erano comunque molto belle ed interessanti e furono datate, come le precedenti già scavate, al V sec. a. C..
Essendo stata fatta un po’ di confusione nell’attribuire la numerazione alle tombe che erano state recuperate fino a quel momento nel territorio del Comune di Carife, inopinatamente si iniziò da capo. Nell’elenco generale ce n’erano alcune indicate con un numero seguito da bis, e in precedenza l’elenco si era fermoto alla tomba n. 91.
Ricordiamo che nel vicino territorio di Castel Baronia la numerazione si è fermata a 137.
Ogni giorno sullo scavo c’erano moltissimi curiosi, che come sempre frequentavano il Bar gestito dal Mirabella, e molti arrivavano anche dagli altri paesi. Naturalmente non mancavano gli studiosi e spesso negli occhi delle persone si leggeva anche la meraviglia e la commozione.
Quella che porta il n. 13 fu la tomba che destò molta commozione…e sentimenti contrastanti: vi erano stati deposti due morti, forse una mamma ed una figlia. I reperti erano stati disposti e collocati lateralmente rispetto alla posizione in cui erano i due scheletri. Lo scheletro della bambina (o del bambino?) si trovava su quello della donna (madre?) in posizione di nascita, ovvero con i piedini all’altezza delle spalle della donna/madre e con il cranio che si trovava quasi all’altezza delle sue ginocchia. Lo scheletro della bambina, contrariamente alla logica che lo vorrebbe meno calcificato, era ben visibile; quello della donna era conservato molto bene nell’intero corpo, ma non furono trovate le ossa del cranio: era facile ipotizzare, come qualcuno fece, una morte violenta, magari avvenuta per tutte e due nello stesso momento, e forse la donna era stata decapitata. Chi le aveva collocate nella tomba aveva voluto ricordare proprio il legame esistente fra le due, deponendo la figlia sul corpo della mamma, nella posizione di “nascita”?
Naturalmente la tomba fu molto fotografata e in quel periodo ritornò sullo scavo anche il Prof. Johannowsky, che fu intervistato da Salvatore Salvatore, unitamente al sottoscritto, al Sindaco Ing. Carmine Di Giorgio ed alla Dott.ssa Gabriella Colucci Pescatore, responsabile dell’Ufficio Archeologico di Avellino.

 

tomba archeologia carife av

La tomba n. 13 di Piano la Sala

Riportiamo ora alcune altre foto delle tombe recuperate nelle particelle 304 e 305 del Foglio 7  di proprietà del Sig. Antonio Mirabella:

Una delle 13 tombe recuperate nella proprietà Mirabella

Una delle 13 tombe recuperate nella proprietà Mirabella

Un cratere a colonnette fra due olle della tomba precedente

Un cratere a colonnette fra due olle della tomba precedente

Un’altra immagine della ricca tomba precedente

Un’altra immagine della ricca tomba precedente

Al centro una bella Kylix a figure nere della tomba precedente

Al centro una bella Kylix a figure nere della tomba precedente

Altra tomba da Piano la Sala

Altra tomba da Piano la Sala

Particolare della tomba precedente

Particolare della tomba precedente

Un bellissimo oinochoe trilobato da una tomba di Piano la Sala

Un bellissimo oinochoe trilobato da una tomba di Piano la Sala

I RITROVAMENTI A PIANO LA SALA INTANTO CONTINUANO…

In data 8.09.2005 il Sig. Gianbattista (sic!) Schirillo presentò al Comune di Carife un’istanza tendente ad ottenere l’autorizzazione per realizzare un altro fabbricato adiacente a quello già realizzato e sotto il quale erano state già recuperate le tombe n. 89 e 90.
I lavori a farsi ricadevano nella particella 78 del Foglio 7, in zona sottoposta a vincolo di tutela ai sensi dell’art. 4 della Legge 1089/1939 con il Decreto Ministeriale datato 29.08.1989, del quale abbiamo parlato in precedenza.
Dopo circa un mese, in data 7.10.2005, in riferimento all’istanza prodotta dal Sig. Schirillo, la Soprintendente Dott.ssa Giuliana Tocco, con propria nota ad oggetto Carife (AV) – Contrada Fiumara – Fog. N. 7 part. N. 78: Richiesta di autorizzazione scavi per la realizzazione di un fabbricato, comunicava al Sig. Schirillo:
Visto lo stato dei luoghi;
Esaminati gli atti di progetto;
Considerato che l’opera interessa un’area di grande interesse archeologico, nella quale è stata rinvenuta una importante necropoli sannitica, riferibile al popolamento della Baronia da parte degli Irpini;
Considerato inoltre che in virtù di quanto detto l’area del Tratturo e quelle adiacenti sono coperte da vincolo archeologico ai sensi dell’art. 4 della Legge 1089/39, dichiarato con nota prot. N. 2026 del 3.2.1990 e con D.M. 29.08.1989;
Considerato infine che il fabbricato da realizzare sorge in aderenza a quello esistente;
Tenuto altresì conto che l’opera a farsi verrà realizzata poco distante dal tracciato attuale del tratturo e potrebbe interessare più antichi percorsi di età storica e preistorica, legati tanto alla transumanza che all’utilizzo della necropoli sannitica e della vicina area sacra di località Fiumara,

AUTORIZZA

Le opere di cui all’oggetto alle seguenti condizioni:
Dovrà essere eseguito preliminarmente lo scavo archeologico a mano, dell’area interessata alle opere a farsi, con l’assistenza scientifica di archeologi, con modalità e tempi da concordare con il funzionario responsabile del territorio dott. Pierfrancesco Talamo;
Nel caso di rinvenimenti archeologici di particolare rilievo monumentale, dovranno essere apportate le opportune modifiche alle opere a farsi, atte alla migliore salvaguardia e valorizzazione di quanto rinvenuto;
Le indagini previste nei punti precedenti dovranno essere a spese del richiedente.

Si richiama il disposto dell’art. 90 del Decreto Legislativo 42/04, nelle ipotesi di rinvenimenti archeologici nel corso dei lavori”.

Come ben si vede il vincolo di tutela ancora una volta risulta “indigesto” per chi poi deve effettuare lavori nelle aree vincolate, in quanto i lavori devono “essere a spesa del richiedente”.
Naturalmente anche quest’area era già stata esplorata in precedenza, come quella su cui era stato costruito il fabbricato già esistente; poiché durante lo scavo erano uscite le famigerate tombe emergenti n. 89, 90 e 91, si temeva che anche questa volta potesse succedere la stessa cosa; il timore era fondato: iniziarono i lavori di scavo manuale sotto la sorveglianza di un archeologo, nel rispetto delle prescrizioni della Soprintendenza e le sorprese non mancarono. Furono infatti portate alla luce ben sette tombe di V sec. a. C., inspiegabilmente sfuggite alla prima indagine, effettuata qualche anno prima; naturalmente si rinvennero anche i tagli e le tracce delle tombe già recuperate, ma si constatò che anche in queste il recupero era stato frettoloso e qualche reperto era sfuggito agli operai che vi avevano lavorato.
In data 8 Novembre 2006, ultimata l’indagine archeologica naturalmente “a spese del richiedente”, la Soprintendente Dott.ssa Giuliana Tocco, con nota avente lo stesso oggetto della precedente, comunicava al Sig. Gianbattista Schirillo (per gli amici “Titta”):
“Con riferimento all’istanza del 8.09.05, questa Soprintendenza:
Visto lo stato dei luoghi;
Esaminati gli atti di progetto; tenuto conto che l’area è coperta da vincolo archeologico ai sensi dell’art. 4 della Legge 1089/39, dichiarato con nota prot. N 2026 del 3.2.90 e con D.M. 29.8.89;
Tenuto conto inoltre del precedente parere, espresso da questo Ufficio con nota prot. 12793/17M del 7.10.05, con il quale si autorizzavano le opere di cui all’oggetto a condizione che esse fossero precedute dall’esplorazione archeologica dell’area;
Visti i risultati della prescritta esplorazione archeologica, che ha restituito diverse sepolture sannitiche;
Considerato altresì che tale esplorazione è ormai interamente completata e che non vi sono stati rinvenimenti di rilievo monumentale tali da poter essere conservati in sito;

AUTORIZZA

Le opere di cui all’oggetto.
Si richiama il disposto dell’art. 90 del D.Lgs. n. 42 del 22.01.04, nelle ipotesi di rinvenimenti archeologici nel corso dei lavori”.

Per completezza d’informazione dobbiamo aggiungere che nel frattempo era stata emanata una nuova normativa in materia di Beni Culturali e di riorganizzazione del relativo Ministero proprio con il D.M. citato in calce alla nota inviata dalla Soprintendenza. Si riporta l’art. 90 di questo Decreto:

ARTICOLO 90

Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili indicate nell’art 10 ne fa denuncia entro ventiquattro ore al Soprintendente o al Sindaco ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati a cura del Soprintendente, anche i Carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale.
Ove si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo scopritore ha facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell’autorità competente e, ove occorra, di chiedere l’ausilio della forza pubblica.
Agli obblighi di conservazione e custodia previsti nei commi 1 e 2 è soggetto ogni detentore di cose scoperte fortuitamente.
Le spese sostenute per la custodia e rimozione sono rimborsate dal Ministero.

I reperti rinvenuti nelle tombe portate alla luce nella proprietà Schirillo furono lasciati a lungo sul posto e affidati in custodia al Sig. Antonio, figlio di Gianbattista, e furono ritirati solo dopo ripetuti solleciti.
Allo stato attuale non risulta nemmeno erogato il premio di rinvenimento, che anche in questo caso avrebbe “lenito” la spesa affrontata dagli Schirillo per pagare gli operai e gli archeologi.
Naturalmente, se si dovranno fare altri lavori (e ce ne sono da fare ancora parecchi…) gli Schirillo e tutti gli altri proprietari delle aree sottoposte a vincolo di tutela dovranno seguire lo stesso iter ed affrontare altre spese…
Riportiamo a questo punto le immagini di alcune delle tombe rinvenute durante l’esplorazione preventiva effettuata nella particella n 78 del Fog. 7 di proprietà Schirillo:

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

tomba rinvenute nel corso del 2005 e 2006 nella proprietà Schirillo

Tomba dalla proprietà Schirillo a Piano la Sala

Tomba dalla proprietà Schirillo a Piano la Sala

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