La Grande mostra sui Sanniti

ROMA 2000: LA GRANDE MOSTRA SUI SANNITI 
E LE TOMBE 89 e 90 DI CARIFE

 

La grande mostra dedicata ai Sanniti, organizzata a Roma nel 2000 presso le terme di Diocleziano, diede modo di conoscere le più recenti scoperte su questa gente e permise di capirne meglio la storia, la vita economica, l’arte, la cultura e la religione. I Sanniti, popolo bellicoso e fiero, furono i protagonisti della storia dell’Italia fra l’VIII ed il II secolo d. C., vale a dire dalle loro origini fino al loro inserimento, assolutamente non pacifico, nel mondo romano e furono tra gli ultimi a cedere al potere di Roma.

L’anno 2000 fu dedicato anche agli studi sui Sanniti, e la Dott.ssa Giuliana Tocco Sciarelli, nella sua veste di Soprintendente Archeologico di Avellino, Salerno e Benevento, qualche anno prima aveva offerto un suo personale contributo dal titolo “Le recenti scoperte nel Sannio Irpino e Caudino”; il suo saggio fu pubblicato infatti nel mese di Gennaio del 1991 nella Rivista “SAMNITES – GENS FORTISSIMA ITALIAE” (CARSA Edizioni), Anno I, n. 0, ed offrì un dettagliato panorama delle ultime scoperte archeologiche, soprattutto nella Baronia, che avevano permesso di aggiornare in maniera notevole le conoscenze su questo popolo, ferme al 1967, che era stato l’anno della prima edizione di “Samnium and the Samnites” di E. T. Salmon.
Ovviamente la mostra riservò uno spazio assai notevole ai reperti provenienti dalle necropoli sannitiche di Carife e Castel Baronia, esponendo ben cinque tombe.

La mostra fu accompagnata da una guida intitolata ITALIA DEI SANNITI, edita a Roma nel mese di Gennaio 2000 dalla Tipografia La Piramide, per conto di Elemond Editori Associati e di Electa, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza Archeologica di Roma – Coordinamento Scientifico di Rosanna Cappelli.

Particolare risalto ebbe la tomba maschile n. 58 di Serra di Marco di Castel Baronia, databile alla metà del V secolo a. C., che, si legge nella Guida, si distingueva “dalle altre della necropoli per l’uso dell’incinerazione: Il ricco corredo, oltre a due fibule, a un rasoio e a numerosi vasi, comprende un coltello, una cuspide di lancia e due cinturoni, ed attesta l’elevata condizione sociale del defunto, forse conseguita attraverso il mercenariato” (1).

Continua poi la Guida: “La necropoli di Carife, insieme alla precedente di Castel Baronia, riferibile ad un unico insediamento sannitico posto nell’alta valle del fiume Ufita, presenta una serie di sepolture che vanno dall’età arcaica alla fine del V secolo, alcune delle quali caratterizzate da corredi di grande ricchezza. Notevole è la quantità di bronzi, in alcuni casi indizio di fenomeni di tesaurizzazione. Contatti con la zona più meridionale dell’Irpinia implicano invece i boccali con protomi di lupo, tipici della cultura di Oliveto Citra-Cairano, e particolare importanza assumono i vasi destinati al consumo del vino, che attestano il diffondersi tra i ceti elevati della consuetudine del banchetto, secondo l’uso greco. Nella necropoli erano probabilmente praticate cerimonie di libagione in onore dei defunti con frammentazione rituale del vaso prima della chiusura della tomba, come sembra indicare lo skyphos mutilo già in antico della sepoltura 94” (2).

In territorio di Carife comunque c’è anche la necropoli dell’Addolorata con tombe databili tra il IV e III secolo a. C.

NOTE:
GUIDA ALLA MOSTRA, pag. 22;
GUIDA ALLA MOSTRA, ibidem.
In occasione del 1° Premio Internazionale di Archeologia, promosso dai Rotary Club Alto Casertano, Piedimonte Matese, Valle Caudina e Valle Telesina, che fu conferito allo Studioso Adriano La Regina il 26 Giugno 2004, fu pubblicato un volume di studi in suo onore intitolato “SAFINIM”, termine con il quale i Sanniti probabilmente indicavano se stessi.
Il premio era stato attribuito “al Prof. Adriano La Regina in riconoscimento della sua opera infaticabile e preziosa per la conoscenza dei Sanniti”.

Nella pubblicazione è presente, tra gli altri, un articolo del Prof. Werner Johannowsky nel quale si legge: “La mostra sull’Italia dei Sanniti realizzata dall’amico Adriano La Regina, che non ha potuto essere corredata da un catalogo scientifico, ha evidenziato quanto sono migliorate in questi ultimi decenni le nostre conoscenze sul Sannio preromano, grazie soprattutto alla più intensa opera di tutela delle Soprintendenze archeologiche della Campania, del Molise e dell’Abruzzo: Ho ritenuto pertanto di fare cosa gradita presentare alcuni contesti di notevole importanza, rimasti finora inediti a causa dei ben noti problemi inerenti al restauro e alla documentazione. Tra questi sono anche due corredi di tombe emergenti di Carife, su cui verte l’articolo della Dott.ssa Bonifacio, che viene pubblicato anch’esso in questa sede…Le necropoli di Carife in località Addolorata e Valle Ufita e, in territorio di Castel Baronia, in località Serra di Marco, sono probabilmente pertinenti all’antica Romulea, saccheggiata dai Romani nel 296 a. C. (Livio, X, 17) e menzionata in un testo, probabilmente anteriore, utilizzato da Stefano Bizantino…il cui nome è sopravvissuto in quello della stazione itineraria “Sub Romula” della Via Appia, il cui tracciato originario doveva seguire la Valle dell’Ufita. Le sepolture finora rinvenute si scaglionano per tutto il periodo tra la metà del VI e gli inizi del III secolo a. C., mentre gli indizi degli insediamenti abitativi, sparsi nel territorio, sono ancora scarsi…” (1).
Nella stessa pubblicazione la Dott.ssa Raffaella Bonifacio, alunna del Prof. Johannowsky, presentò le due tombe più importanti rinvenute in località Piano la Sala di Carife, corredate di un ricco corredo fotografico. Nell’articolo si legge: “La tomba 89 e la contemporanea tomba 90 sono le più ricche della necropoli di Carife. Di questo centro sono attualmente note tre aree di necropoli, due sulle colline che dominano da nord la valle dell’Ufita e la terza alla quale appartengono le tombe 89 e 90, nel fondovalle, sul tracciato seguito poi dalla via Appia.
Negli anni successivi al terremoto del 1980 sono cominciati i primi ritrovamenti che continuano ancora oggi. Perciò è ancora in corso lo studio sia delle aree sepolcrali sia dello stesso centro antico che conosciamo parzialmente. Le tombe, a fossa, appartenenti ad uno stesso nucleo familiare, erano più profonde delle altre e contenevano ognuna un inumato in posizione supina.
L’oggetto più notevole e appariscente in entrambi i corredi, è il candelabro di bronzo che risale alla fine del V secolo a. C. ed è di importazione etrusca. Questi prodotti artigianali, di lavorazione molto fine, erano realizzati in più pezzi che potevano venire smontati e rimontati non solo per l’illuminazione durante i banchetti, ma anche perché, togliendo la cimasa, l’estremità superiore dello stelo serviva per collocare la coppa da buttare giù durante il gioco del kottabos. Tali oggetti, tipicamente etruschi, si ispirano, negli ornamenti vegetali del disco sotto la cimasa, a modelli greci: in base all’evoluzione della decorazione vegetale e allo stile delle statuette che spesso fungevano da coronamento, si stabilisce la loro cronologia.

NOTE:

SAFINIM, Arti Grafiche Grillo, Piedimonte Matese, Giugno 2004, pag. 293-311. Segue un elenco dettagliato e descrittivo di ciascuno degli oggetti rinvenuti nella tomba n. 58 di Serra di Marco, i cui reperti furono esposti nella grande mostra di Roma sui Sanniti.

Credo sia utile a questo punto dire qualche cosa sul gioco del “Kottabos”: si toglieva la cimasa, si collocava il candelabro al centro della sala, sulla parte superiore si collocava la coppa da colpire e da far cadere con un getto di vino proveniente da un’altra coppa infilata nel dito di una mano, sulla base di rituali e di regole prestabilite.
La scena è rappresentata , oltre che su coppe, anche su una lastra della famosa “Tomba del Tuffatore” di Paestum.
Chi vinceva aveva il diritto di scegliere una donna e di appartarsi alla ricerca di intimità. Naturalmente il gioco era praticato nell’ambito degli appartenenti alla classe emergente.

Paestum: “Tomba del Tuffatore”- Lastra con affresco riproducente il gioco del Kottabos

Paestum: “Tomba del Tuffatore”- Lastra con affresco riproducente il gioco del Kottabos

Nella tomba 89 la cimasa del candelabro è una statuetta di satiro nell’atto di sacrificare un caprone, che per l’iconografia non trova confronti, mentre lo stile è vicino a sculture di ambito attico e peloponnesio del tardo V secolo a. C., come in alcune statuette con la stessa funzione da Spina. Nella tomba 90, invece, la cimasa non è figurata, ma termina con un elemento a pigna, che, unito alla forma della base, a zoccoli equini, si ritrova in un gruppo di candelabri, sempre della fine del V sec. a. C., diffuso tra Vulci e Orvieto.

Vaso con raffigurazione del gioco del Kottabos

Vaso con raffigurazione del gioco del Kottabos

Il candelabro della tomba n. 89 di Piano la Sala

Il candelabro della tomba n. 89 di Piano la Sala

La cimasa del candelabro di bronzo della tomba n. 89 di Piano la Sala

La cimasa del candelabro di bronzo della tomba n. 89 di Piano la Sala

 

“Candelabro di bronzo composto da quattro elementi lavorati separatamente: base con tre zampe ferine e palmette terminanti con dischetti tra di esse, fusto scanalato con disco superiore ornato  da palmette alternate a boccioli, elemento superiore sagomato da cui spuntano quattro bracci  terminanti ad antemio e sulla sommità cimasa costituita da statuetta di sileno che brandisce un coltello ricurvo per sacrificare un caprone; altezza cm. 89,3”  (1).

NOTE:

1. SAFINIM, op. cit., articolo di Raffaella Bonifacio.

Elemento superiore a quattro bracci terminanti ad antemio (1) della tomba n. 89

Elemento superiore a quattro bracci terminanti ad antemio (1) della tomba n. 89

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Particolare della statuetta del sileno che sacrifica un capro (Tomba n. 89)

NOTE:

 

1. ANTEMIO = sostantivo  maschile  [dal gr. ἀνϑέμιον, der. di ἄνϑος «fiore»]. – In archeologia, motivo decorativo a palmette e fiori di loto, a cespi di acanto, a girali floreali  per fregi, acroteri, antefisse, capitelli, sostegni, e anche per opere di toreutica (arte di lavorare  il metallo). Dal Vocabolario TRECCANI.

Boccaletto di bronzo sagomato ad S della tomba n. 89 di Piano la Sala

Boccaletto di bronzo sagomato ad S della tomba n. 89 di Piano la Sala

Boccaletto monoansato a vernice nera della tomba n. 89 di Piano la Sala

Boccaletto monoansato a vernice nera della tomba n. 89 di Piano la Sala

Nella tomba 90, invece, la cimasa non è figurata, ma termina con un elemento a pigna, che, unito alla forma della base, a zoccoli equini, si ritrova in un gruppo di candelabri, sempre della fine  del V sec. a. C., diffuso tra Vulci e Orvieto.

Il candelabro della tomba n. 90 di Piano la Sala

Il candelabro della tomba n. 90 di Piano la Sala

La cimasa del candelabro della tomba n. 90 di Piano la Sala

La cimasa del candelabro della tomba n. 90 di Piano la Sala

Particolare del piede del candelabro della tomba n. 90 di Piano la Sala

Particolare del piede del candelabro della tomba n. 90 di Piano la Sala

“Candelabro di bronzo composto da cinque elementi; sostegno desinente in tre zoccoli equini tra i quali si trovano foglie cuoriformi. Stelo scanalato, disco non decorato, elemento fusiforme su cui poggia quello a tre bracci ad antemio, di cui uno frammentato e cimasa con elemento a pigna su base circolare; altezza cm. 88,1” (1).

Il vasellame di bronzo delle due tombe è più antico: i piatti con orlo impresso con motivo a treccia sono infatti del VI secolo a. C..

Piatti di bronzo ad orlo impresso della tomba n. 90 di Piano la Sala

Piatti di bronzo ad orlo impresso della tomba n. 90 di Piano la Sala

NOTE:

 

1. SAFINIM, op. cit., articolo di Raffaella Bonifacio.

La patera della tomba 90, con il manico a forma di kouros tardo arcaico che regge sul capo una  coppia di arieti su volute, trova confronti in un tipo diffuso nel Peloponneso                             nord-orientale: si tratta quindi di un’importazione greca dell’inizio del V sec. a. C..

Ansa di patera a forma di kouros della tomba n. 90 di Piano la Sala

Ansa di patera a forma di kouros della tomba n. 90 di Piano la Sala

 

Dello stesso periodo è l’oinochoe a becco (Schnabelkanne) importata dall’Etruria.

Oinochoe a becco della tomba n. 89 di Piano la Sala

Oinochoe a becco della tomba n. 89 di Piano la Sala

Oinochoe a becco della tomba n. 89 di Piano la Sala

Oinochoe a becco della tomba n. 89 di Piano la Sala

“ Schnabelhanne di bronzo con base non differenziata, ansa fusa a parte a sezione poligonale con palmetta a undici foglie tra volute desinenti a teste di serpenti e attacco superiore bifido pure con teste di serpenti; altezza 27,8” (Raffaella Bonifacio, SAFINIM.)
All’ideologia del banchetto dei morti nell’oltretomba, alla quale si collegano gli oggetti in bronzo, sono riconducibili pure i vasi, che facevano parte anch’essi del servizio da tavola. Spicca il cratere della tomba 89 che va attribuito ad un’officina italiota ormai localizzata a Metaponto, quella del pittore di Dolone, riconoscibile tra l’altro per il caratteristico modo di rappresentare i sileni con i piedi calzati e databile intorno al 400 a. C..

Lato A: Menade tra satiro e sileno

Lato A: Menade tra satiro e sileno

Lato B: Tre giovani ammantati

Lato B: Tre giovani ammantati

Anche il soggetto, una scena di thiasos dionisiaco, è in rapporto con la funzione del vaso  e  conforme con il motivo della statuetta del candelabro.

 

Nella tomba n. 90 era  presente anche un bel guttus a vernice nera baccellato con bocca  configurata a testa leonina e dotato di filtro superiore. Questo vaso di piccole dimensioni  (altezza cm. 4,7 e diametro 7,6) era destinato a contenere e a versare liquidi, anche a gocce.

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Il guttus della tomba n. 90

Nella tomba 90 al posto del tipo più comune di cratere è una kelebe a vernice nera sovra dipinta  di tipo molto raro a quattro anse, che deriva evidentemente da vasi rituali più antichi noti  nell’area irpina a Montesarchio, l’antica Caudium.

La kelebe a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

La kelebe a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Alla stessa sepoltura appartengono anche due boccali a vernice nera che, pur ispirandosi alle  diffusissime ceramiche attiche, molto imitate in Italia, sono ornati dal lupo, totem degli Irpini,  presente su vasi rituali di questa zona già dal VII sec. a. C..

Boccali monoansati con protomi di lupo sull’orlo della tomba n. 90 di Piano la Sala

Boccali monoansati con protomi di lupo sull’orlo della tomba n. 90 di Piano la Sala

Oinochoe baccellato a vernice nera della tomba n. 90

Oinochoe baccellato a vernice nera della tomba n. 90

Kantharos a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Kantharos a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Kantharos a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Kantharos a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

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Due coppe a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala di Carife

Figura 1: Kylix di tipo Bolsal a vernice nera; Figura 2: Kylix a vernice nera (Tomba n. 89 di Piano la Sala)

Figura 1: Kylix di tipo Bolsal a vernice nera; Figura 2: Kylix a vernice nera
(Tomba n. 89 di Piano la Sala)

La Kylix (coppa) della figura 2 ha il piede anulare e sul fondo interno sono impresse cinque  decorazioni a palmetta, collegate tra di loro da linee curve. 

boccaletto simili  a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

boccaletto simili a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

boccaletto simili  a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

boccaletto simili a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Skyphos a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la sala

Skyphos a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la sala

La tomba n. 90 di Piano la Sala

La tomba n. 90 di Piano la Sala

Olla stamnoide a vernice nera con coperchio della tomba n. 90 di Piano la Sala

Olla stamnoide a vernice nera con coperchio della tomba n. 90 di Piano la Sala

Lekanis a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Lekanis a vernice nera della tomba n. 90 di Piano la Sala

Nella tomba 89 sono stati rinvenuti anche spiedi in ferro per arrostire la carne, come frequentemente accade nelle tombe aristocratiche. L’abbondanza e la raffinatezza degli oggetti di corredo importati anche da lontano ci offre un’immagine raffinata dei guerrieri sanniti che, come i Greci, si aspettavano di partecipare ad un unico, immenso banchetto degli eroi dell’oltretomba, ma insieme ai lussuosi bronzi e alla profusione di ceramica, non dimenticavano l’antico animale guida, il lupo da cui avevano preso il nome” (1).

Il Prof. Johannowsky, nell’articolo citato in precedenza, presenta la tomba 58 della necropoli di Serra di Marco di Castel Baronia, dicendo che essa “è caratterizzata dalle armi e dalle fibule, ambedue ad arco doppio, come sepoltura maschile. Uno dei cinturoni, che era steso ed ha subito restauri in lamina, simboleggiava evidentemente la preda di guerra, mentre l’altro era indossato. La tomba si trovava al centro del gruppo di tombe più orientale del settore esplorato della necropoli di Serra di Marco tra Carife e Castel Baronia” (2).

La tomba n. 58 di Serra di Marco di Castel Baronia

La tomba n. 58 di Serra di Marco di Castel Baronia

Vengono poi elencati e descritti i reperti di questa importante tomba, iniziando con un “oinochoe trilobato in argilla giallina, piede anulare ed ansa a doppio cordoncino, con sul corpo di forma ovoide in basso zona rossiccia tra due fasce; sul ventre zona bruna tra fasce e line ondulata in alto; sulla spalla in spazi metopali 8 motivi a triangoli contrapposti rossi e bruni alternati, in parte fiancheggiati da linee ondulate verticali con linee verticali al centro e a sinistra dell’ansa motivo a clessidra; più in alto e sul collo tre zone verniciate; orlo ed angoli verniciati; negli spigoli rientranti del labbro palmette pendule a 5 foglie; h. 288; dm. 178”.

NOTE:
SAFINIM, op. cit. , Raffaella Bonifacio, Le tombe 89 e 90 della necropoli di Carife, pag. 237-259;
SAFINIM, op. cit., pag. 294.

L’oinochoe trilobato della tomba n. 58 di Castel Baronia

L’oinochoe trilobato della tomba n. 58 di Castel Baronia

Viene descritto poi  un “Kantharos su piede anulare, quasi carenato al centro, con spalla fortemente degradante e anse a nastro sopraelevate; argilla giallina; vernice bruna e colore rosso; sul ventre zona rossa tra due coppie di fasce, sulla spalla serie di trattini obliqui, fasci e linea ondulata in rosso e linea ondulata bruna tra due fasce; fasce ai lati delle anse, ornate da tre coppie di fasce orizzontali; fascia rossa e fascia bruna all’interno dell’orlo; altezza massima 142; Diametro massimo 161”.

Il kantharos della tomba 58 di Castel Baronia

Il kantharos della tomba 58 di Castel Baronia

Viene poi presentata la tomba n. 62, che era a fossa, “come quasi tutte le tombe anteriori al IV sec. a. C. a Carife e a Castel Baronia e, a giudicare dalle fibule rinvenute i corrispondenza delle spalle e dall’assenza di armi, una sepoltura femminile, malgrado la presenza del cratere ai piedi. Mentre questo deriva da un tipo laconico del VI sec. a. C., diffuso oltre che in Irpinia in area enotria forse per il tramite della ceramica “calcidese”, come farebbe supporre la decorazione sulla spalla, uno skyphos a vernice nera importato dalla Campania fa datare la deposizione ai primi decenni del V sec. a. C.”.
Come per la precedente vengono poi elencati e descritti i vari reperti restituiti dalla tomba. Ci limitiamo a presentare quelli che a noi sono sembrati maggiormente significativi per forma e stato di conservazione.

Visione d’insieme di reperti della tomba n. 62 di Castel Baronia

Visione d’insieme di reperti della tomba n. 62 di Castel Baronia

Descriviamo lo skyphos a vernice nera d’importazione campana: il vaso ha “piede anulare espanso, orlo a gola su breve spalla e anse a cordoncino girate in su; argilla giallo-arancione; vernice brillante, che copre tutto l’interno e l’esterno ad eccezione dell’orlo e dell’interno del piede e dell’interno delle anse; altezza mm. 113; diametro massimo mm. 220”.

Skyphos a vernice nera d’importazione campana della tomba n. 62 di Castel Baronia

Skyphos a vernice nera d’importazione campana della tomba n. 62 di Castel Baronia

Il reperto sicuramente più bello ed importante della tomba è rappresentato dal “cratere di tipo laconico con piede a quarto di cerchio, corpo ovoide e breve collo terminante a gola, e orlo a gola; argilla arancione; vernice bruna e colore rosso; sul piede e sul ventre zone rosse si alternano a fasce e zone di vernice; sulla spalla foglie pendenti a linguetta, brune e rosse alternate e contornate; sul collo zona rossa in riquadro; sull’orlo linea ondulata all’esterno e zone rosse sul taglio superiore e all’interno divise da una fascia sotto lo spigolo; sui raccordi, tra le anse e l’orlo, nella parte verticale croce obliqua e in alto losanga piena con lati prolungati in un riquadro; altezza 350; diametro massimo 336”.
Questo splendido cratere era stato già esposto una prima volta a Carife nella mostra inaugurata il 15 Maggio 1982.
Sempre nella tomba 62 c’era infine un esemplare di “vaso a borraccia”, l’unico di questo tipo rinvenuto nelle necropoli di Carife e di Castel Baronia.

Il vaso “a borraccia” della tomba 62 di Serra di Marco di Castel Baronia

Il vaso “a borraccia” della tomba 62 di Serra di Marco di Castel Baronia

Sembra che i reperti delle 5 tombe esposte a Roma in occasione della mostra dedicata ai Sanniti debbano costituire, a breve, il primo nucleo del Museo Archeologico di Carife: naturalmente ci  si augura che ciò finalmente avvenga…

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