IL DOGUERRA: CONTINUANO AD ARRIVARE PREVENTIVI…
Dalla corrispondenza presente nel fascicolo si evince che già dal mese di Marzo del 1920 si erano rifatti vivi i costruttori di tubi. In particolare in data 8 Marzo la “Società Alti Forni, Acciaierie e Ferriere FRANCHI-GREGORINI”, una società anonima con sede in Milano e Amministrazione Centrale a Brescia, in una lettera scritta al Sindaco,chiedeva di conoscere lo stato della pratica relativa alla costruzione dell’acquedotto.
Si ricorderà che la Società era rappresentata, a Napoli da Martorelli e Figlio. Nella nota si chiede di conoscere “se il progetto è stato aggiornato nei prezzi, se approvato dalle superiori Autorità e quali sono infine le intenzioni dell’On. Amministrazione nei riguardi della costruzione dell’opera”.
La risposta del Sindaco Giuseppe Caruso (Don Peppe) non si fece attendere: una settimana dopo scriveva al Direttore della Società, che trattava prodotti Dalmine:
“A stimata Vostra dell’8 corrente finora quest’Amministrazione non ha creduo riprendere la pratica (relativa) al costruendo acquedotto a causa che i materiali necessari, specie i tubi, continuano ad avere prezzi elevati.
Compiacetevi comunicarmi se cotesta Ditta possa fornire i tubi Mannesmann, in qual termine ed a qual prezzo (che sia indicato il minimo possibile), nell’intelligenza che essi debbono avere il diametro di millimetri cento.
Dopo tale dettagliata e precisa risposta il progetto (di già approvato dalle superiori Autorità) sarà aggiornato nei prezzi, tanto più che per tale opera venne concesso il mutuo di favore di £ 142.600,00 dalla Regia Cassa DD.PP., come da Decreto Reale del 2 Aprile 1916.
In attesa distintamente vi saluto. Il Sindaco”.
In data 19 Marzo arrivò la risposta degli Stabilimenti Dalmine, che nel frattempo aveva trasferito proprio a Dalmine (Bergamo) Direzione ed Amministrazione. Il preventivo in essa contenuto era relativo agli stessi materiali offerti prima della guerra: tubi in acciaio “ottenuto ai forni elettrici, laminati a caldo col noto procedimento Mannesmann, incatramati internamente ed esternamente a caldo e rivestiti di Juta asfaltata applicata meccanicamente a caldo, provati singolarmente a 75 atmosfere, muniti di giunto normale per pressioni di esercizio sino a 15 atmosfere, in lunghezza di fabbricazione da 5 a 7 metri, e cioè: Diametro interno mm. 100,00 a Lire 59 p. m. l. ut. (per metro lineare utile)”
Con la lettera si riferiva anche che la Società Franchi & Gregorini era passata in proprietà alla Soc. An. “Stabilimenti di Dalmine”.
In data 24 Giugno 1920 le Acciaierie e Ferriere Lombarde comunicavano: “dopo il lungo periodo di guerra e necessaria organizzazione, i nostri stabilimenti sono oggi in grado di riprendere la fabbricazione di tutti gli articoli di loro normale produzione”.
La Ditta comunicava di essere “in condizione di assumere la fornitura di qualsiasi ordinazione entro breve termine” di tubi a bicchiere per acquedotti.
In data 26 Ottobre scrisse al Comune anche lo “Studio Tecnico Industriale G. COSENTINO & CO”, che si dichiarava “a completa disposizione per fornirvi il rispettivo progetto e preventivo di costo, sempre che vorrete farci conoscere i dati relativi alla distribuzione dell’acqua potabile nel Comune di Carife”.
Agli atti è conservato anche un preventivo, senza la nota di accompagnamento, offerto da Riccardo Parodi, rappresentante per l’Italia, con sede in Milano degli “Alti Forni & Fonderie di Fumel (Francia)”.
GLI AVVENIMENTI DEL 1923: LA GARA DI APPALTO
La corrispondenza presente nel fascicolo, relativo all’anno 1923, è davvero poca: non è stato possibile, almeno fino a questo momento, rintracciare gli atti relativi alla gara di appalto, che si fece proprio in quell’anno. Forse anche questo faldone è stato smarrito smarrito o distrutto, come il progetto, a seguito del sisma del 23 Novembre 1980. La procedura per l’appalto, che nel frattempo non era stata modificata, sicuramente fu identica a quella seguita nei due esperimenti d’asta, andati purtroppo deserti nel corso del 1916.
La Cassa DD. PP. aveva concesso al Comune il mutuo di £ 553.130,00 con Decreto del Ministro del Tesoro del 20 Ottobre 1922.
Già in data 16 Gennaio l’Ing. Ferrari di Bologna (lo conosceremo meglio in seguito) chiese al Comune, a mezzo telegramma, “estratto elenco prezzi asta acquedotto nonché possibilmente estratto capitolato”.
Da una nota spedita dal Sindaco Angelo Raffaele Gallicchio, in data 26 Gennaio, apprendiamo che la gara per l’appalto dei lavori di costruzione dell’acquedotto di Carife era stata fissata per il giorno I° di Febbraio.
Con la nota, indirizzata alla “Cooperativa Moderna Nuova”, con sede a Napoli in Corso Garibaldi 326 ed alla “Cooperativa Edilizia Partenopea”, che aveva sede nella stessa città in Via De Cesare, n. 56, il Sindaco chiedeva documenti ad integrazione dell’istanza prodotta per partecipare alla gara.
In data 13 Marzo la Regia Sottoprefettura di Ariano di Puglia chiede di conoscere “la data fissata per l’asta per la definitiva aggiudicazione dei lavori dell’acquedotto”.
A due imprese viene restituita la documentazione prodotta per partecipare alla gara: si tratta dell’Impresa di Sabino Galasso di Avellino e di quella di Cioffi Antonio di Napoli.
L’impresa che si aggiudicò i lavori fu “La Società Anonima Cooperativa l’Edilizia fra operai ex combattenti e mutilati di Bologna”, il cui amministratore era l’Ing. Marchetti Ubaldo.
Fu nominato Direttore dei lavori il giovanissimo ing. Giovanni Vito Rocco Salvatore. Di questo ingegnere sappiamo, in base alle risultanze anagrafiche, che era nato il 18.4.1900 a Montauro (Catanzaro) da Michelarcangelo e da Madonna Luigia, sposatisi il 31.12.1898. Il 18.2.1922 aveva sposato, a Napoli, Scotti Giuseppina. La sua corrispondenza spesso è spedita da Foggia, dove era impiegato presso l’Ufficio Tecnico di Finanza. Per emigrazione a Foggia fu cancellato dall’Anagrafe del Comune di Carife nel mese di Agosto del 1930, subito dopo il famoso terremoto. Risulta essere morto a Roma il 12 Ottobre 1973.
I lavori ovviamente iniziarono lo stesso anno e proseguirono abbastanza speditamente, soprattutto per il tratto esterno, sotto la direzione dell’Ing. Salvatore.
Di questa prima fase dei lavori non abbiamo documentazione.
I LAVORI CONTINUANO PER TUTTO IL 1924.
Nel faldone relativo all’acquedotto, diligentemente ordinata ed elencata per mese, c’è tutta la corrispondenza intercorsa durante il proseguimento dei lavori, unitamente alle deliberazioni adottate dalla Giunta, con i poteri del Consiglio, e a quelle del Consiglio Comunale.
Il fascicolo contiene un “Indice delle pratiche e corrispondenze spedite e compiute relativamente ai lavori dell’acquedotto Comunale nell’anno 1924”.
In data 7 Gennaio il Direttore dei Lavori, ing. Giovanni Salvatore, trasmette il “secondo Certificato pel pagamento della seconda rata di acconto all’impresa assuntrice dei lavori di costruzione dell’acquedotto Comunale”.
Il Sindaco Angelo Raffaele Gallicchio chiede al Prefetto di Avellino, tramite il quale per legge dovevano avvenire i pagamenti, l’erogazione dell’acconto per il lavori dell’acquedotto.
All’istanza era allegato anche un primo stato di avanzamento dei lavori, vistato dal Genio Civile, ed era indicato l’Ing. Ubaldo Marchetti come intestatario del mandato per conto della cooperativa di Bologna.
Si chiedevano inoltre £ 6.000, quale compenso all’Ing. Ferdinando Mastrocinque, redattore del progetto.
Sempre il 7 Gennaio il Direttore dei Lavori comunicava al Sindaco che l’Impresa aveva ripreso i lavori, che, comunque “potranno subire soste o rallentamenti in relazione del comportamento della stagione invernale”.
Nel mese di Febbraio l’Ing. Ubaldo Marchetti diventa Presidente della società Anonima Cooperativa “L’Edilizia”, tra operai, ex combattenti, mutilati e smobilitati e comunica al Sindaco di Carife di intestare i mandati di pagamento all’Ing. Camillo Ferrari che lo aveva sostituito nella carica di Amministratore.
In data 29 Febbraio 1924 la Cassa DD.PP. comunica l’emissione del mandato di £ 143.033., così come richiesto dal Sindaco.
L’8 Aprile il Genio Civile comunicò che incontrava difficoltà a vistare lo stato di avanzamento, “senza prendere visione di tutti gli atti contabili regolarmente redatti”. Naturalmente il Direttore dei lavori dovette provvedere ad integrare la pratica con gli atti richiesti.
In data 28 Aprile il Sindaco Angelo Raffaele Gallicchio dovette redigere e pubblicare questo manifesto:
IL SINDACO RENDE NOTO…
Che voci tendenziose, quanto mai in malafede, cercano di far ritenere che il numero dei fontanini progettati, debba in parte essere ridotto, privandone, in special modo, il Rione di Terra Vecchia. Mentre smentisce recisamente tali voci, mette in sull’avviso i propalatori di essa, che, perseverando, saranno a loro carico presi i provvedimenti come per legge.
Frattanto rassereno la cittadinanza e l’assicura che, le opere idrauliche che si vanno compiendo, seguono interamente le prescrizioni progettuali, e conforme alla designazione del progetto e le convenienze tecniche, saranno distribuiti, in luogo opportuno, tutti i fontanini occorrenti a soddisfare i bisogni di questa popolazione: Firmato il Sindaco Gallicchio”.
Evidentemente voci tendenziose, volte a screditare la maggioranza, era diffuse ad arte anche dai Consiglieri dell’opposizione.
RICHIESTE DI ALLACCIAMENTO DEI PRIVATI
Durante i lavori di costruzione della rete idrica interna diversi cittadini, sicuramente tra i più benestanti, chiedevano di allacciare le proprie case alla tubazione centrale. Ne nacque una polemica tra gli Amministratori e l’Ing. Salvatore.
In una nota inviata in data 5 Maggio dal Sindaco al Direttore dei lavori, si legge:
“Questo Comune ha già stabilito di somministrare l’acqua alle famiglie private che ne fanno richiesta, mediante apposita tubazione la cui posa sarebbe a carico dei privati stessi.
Siccome i lavori per la posa in opera della tubazione principale già procedono alacremente in paese, per rendere meno gravosa…si domanda:
Può il Comune autorizzare, tempestivamente i necessari allacciamenti ala tubolatura pubblica man mano che procedono i lavori, o pure deve attendersi che l’acquedotto sia ultimato e collaudato?”.
In data 23 Maggio il Sindaco comunicò all’Ing. Ubaldo Marchetti, Presidente della Cooperativa “L’Edilizia” “che erano pervenute al Comune 25 richieste di allacciamento alla condotta idrica da parte di privati cittadini e che aveva, nel contempo, autorizzato la “Ditta a provvedere all’acquisto del materiale necessario per la esecuzione della detta provvista d’acqua per i privati, ritenendosi utile che l’allacciamento per uso privato alla tubolatura principale venga eseguita in questo momento per ovvie ragione di economia e facilità dei lavori stessi…Si fa affidamento sulla solerzia e provata diligenza di codesta Ditta, e si prega di voler provvedere a quanto sopra nel tempo più brevemente possibile”.
Lo stesso giorno il Sindaco comunicò all’Ing. Giovanni Salvatore, che lavorava presso l’Ufficio Tecnico di Finanza di Foggia, “che il numero dei richiedenti la provvista dell’acqua ad uso privato, attualmente è di 25, e si è pertanto precettata la Ditta in parola ad eseguire, nei tempi più brevi possibili, l’allacciamento alla tubulatura principale, per i cennati fontanini privati.Poichè intanto, si rende necessaria una esplicita autorizzazione di V. S. Ill.ma alla Ditta esecutrice dei lavori, si prega V.S. voler a tanto provvedere fornendo all’Impresa tutti quei suggerimenti che saranno ritenuti utili anche dal lato tecnico”.
Intanto lo stesso giorno la Giunta Municipale, assumendo i poteri del Consiglio, deliberò “di facultare il Sindaco ad autorizzare l’Impresa della costruzione dell’acquedotto comunale signor Marchetti Ubaldo rappresentante la Società Cooperativa l’Edilizia di Bologna di poter scavare a monte della strada Nazionale n. 53 nell’abitato di Carife, e propriamente dal ponticello N° 71 al ponticello N° 72 per il collocamento della tubolatura dell’acqua potabile”.
Alla seduta erano presenti, oltre al Sindaco Angelo Raffaele Gallicchio, anche Giuseppe Di Ianni (padre di Giustino e di Raffaele, l’attuale Sindaco) e Infante Rocco. Il Segretario Comunale era Giuseppe Luigi Manzi.
In data 23 il Sindaco inoltrò una richiesta di attraversamento con lo scavo della Via Margherita e della Nazionale n. 53, ed il Prefetto lo concesse in data 12 Luglio 1924.
Il Direttore dei Lavori, in data 27 Maggio, rispose che quanto richiesto dal Sindaco non rientrava nelle sue attribuzioni, che non gli consentivano “di autorizzare l’Impresa assuntrice ed esecutrice dei lavori stessi a provvedere senz’altro alla provvista dell’acqua ai privati: Difatti mentre l’Impresa ha l’obbligo ed il diritto di eseguire ed ultimare i lavori in conformità ai patti contrattuali i quali non contemplano la distribuzione ai privati non conviene intralciare e diversamente distrarre il lavoro di posa della rete interna della distribuzione pubblica.
Non si ritiene inoltre consigliabile dare l’acqua ai privati finchè non ci sia il Serbatoio, od almeno finchè il lavoro non sia finito e collaudato, essendo la tubazione principale calcolata in base alla portata di 5 litri, ciò che non consente una larga erogazione. Avendo intanto Codesta On. Amministrazione dato facoltà all’impresa di eseguire subito gli allacciamenti in parola accettandone essa la pronta esecuzione declino ogni mia responsabilità qualora l’acqua in pronto non risultasse sufficiente. Firmato Il Direttore di Lavori Giovanni Salvatore.”
La risposta del Direttore dei lavori credo non abbia bisogno di commenti.
Vale la pena aggiungere che i tubi dell’acquedotto esterno sarebbero stati sempre gli stessi fino agli anni ’80.
Il 30 il Sindaco telegrafava ”all’Impresa Marchetti presso Ingegnere Ferrari Viale Pola 11 Roma: Necessitano assicurazioni richiesta nota 23 corrente 769 circa esecuzione lavori allacciamento tubazione acqua privati onde scongiurare malintesi.”
VENGONO FUORI LE CANTINE…
Fino agli anni ottanta del secolo scorso quasi tutte le case di Carife, in particolare quelle del rione antico “Fossi”, erano dotate di cantine più o meno grandi. Si andava dalla semplice grotticella, scavata nella sabbia o nei conglomerati (puddinghe), alla cantina ben più complessa: erano delle vere e proprie gallerie, a volte addirittura sovrapposte e ramificate.
Spesso le gallerie erano scavate sotto la proprietà altrui o addirittura sotto la sede stradale dei vari vicoli. Questo sistema di gallerie e di caverne ha causato, nel tempo, un indebolimento delle strutture murarie soprastanti e delle fondamenta delle case ed ha reso meno solido tutto il centro storico, amplificando l’effetto delle scosse sismiche in occasione dei frequenti terremoti che hanno colpito, con tragica cadenza, il nostro paese. Spesso si sono verificati anche cedimenti della sede stradale.
L’esigenza di disporre di una cantina era dettata dalla necessità di conservare in un luogo fresco e asciutto le derrate alimentari o i prodotti in un paese la cui attività principale è stata sempre quella agricola: olio, vino, patate ed altro trovavano nella cantina il posto ideale per la loro conservazione. L’ampiezza e la profondità della cantina, scavata quasi sempre in discesa, era condizionata da almeno due fattori: lo spazio a disposizione e la quantità dei prodotti da conservare. In qualche cantina poi dovevano trovare posto anche l’asino o il mulo, la capra, la pecora e spesso anche…il maiale.
Talora lateralmente venivano scavate delle nicchie, nelle quali trovavano posto le giare (F’sine) destinate a contenere olio, aceto, peperoni sottaceto e botti o botticelle di varia grandezza per contenere il vino. In molte c’era la vasca di pietra, destinata a contenere il buon olio che qui si è sempre prodotto. Nella cantina trovava posto anche la legna da ardere.
Si accedeva alla cantina mediante una porta che si apriva quasi sempre direttamente nella cucina e solo in qualche caso la cantina era adiacente all’abitazione.
Nella cantina venivano conservati anche i vasetti contenenti i salami sottolio (zazicch’ e supr’ssat’), la sugna liquefatta (‘nzogna), il concentrato di pomodoro essiccato al sole (la cunserva).
Nella cantina era facile trovare, appesi ad appositi uncini di legno, anche pezzi di lardo, prosciutti, capicolli, vesciche piene di sugna, pancetta salata (spancedd’ e putt’r’nedda).
In ultima analisi la cantina era una specie di grande dispensa/frigorifero, calda d’inverno e fresca d’estate; ma in quelle che erano sottostanti alla sede stradale spesso ci pioveva.
Quando fu realizzata la rete idrica e fognaria e furono predisposte le massicciate per la sede stradale si chiuse un occhio: molte cantine furono attraversate da tubi e solo in qualche caso vennero chiuse, in quanto rappresentavano un pericolo troppo evidente per la pubblica incolumità.
Spesso però le cantine erano costruite, almeno in parte, in muratura e venivano rinforzate con archi e con volte alla “siciliana”.
Naturalmente anche nel corso dei lavori di costruzione della rete idrica interna, negli anni 1924/1926, vennero fuori diverse cantine ed il Sindaco, informato dal Direttore dei lavori, dovette assumere i provvedimenti che il caso richiedeva.
In data 31 Maggio il Direttore dei lavori scrisse infatti al Sindaco:
“Si rende noto a codesta Onorevole Amministrazione che durante lo scavo della trincea per la posa della tubolatura principale della distribuzione interna si sono verificati, lungo la strada Elena due sprofondamenti causati dalla esistenza di cantine scavate sotto la strada suddetta. Per non intralciare il regolare andamento dei lavori si sono adottati dei ripieghi provvisori, però nell’interesse della sicurezza di viabilità e della pulizia delle strade è necessario che codesta On.le Amm.ne prenda, d’urgenza, in esame la questione in oggetto e promuova i provvedimenti del caso.
La costruzione delle cantine sotto le vie è stata sempre proibita, in linea assoluta, e ciò per non compromettere la sicurezza dei cittadini; nel caso attuale, trattandosi per lo più di cantine di antica esistenza si ricorda che il sottosuolo delle vie pubbliche fa parte del Demanio ed è imperscrivibile. Un privato non ha dunque il diritto di rivendicare la proprietà di cantine situate sotto la pubblica via.
Ad ogni modo ed in ogni stadio di causa non ostante qualsiasi eventuale allegazione di proprietà, l’Autorità Amministrativa può ingiungere ad un proprietario di riempire le cantine della sua casa, quando si estendono sotto il suolo della via pubblica.
Perciò si prega Codesta Onorevole Amministrazione di diffidare senz’altro i proprietari delle predette cantine, in persona di Saura Francesco Saverio ed eredi di Lungarella Raffaele, a voler subito procedere al riempimento delle stesse, per quel tratto che si estende sotto la strada, mediante la costruzione di muri di conveniente spessore in perfetta corrispondenza delle facce esterne dei muri delle case soprastanti, colmando poi il vano relativo con terra mista a sassi, bagnata e pigiata per strati di una trentina di centimetri. Nel frattempo, risultando a questo Ufficio l’esistenza di altre cantine, si invitino, coi mezzi di cui l’Amministrazione dispone, tutti i proprietari di cantine scavate sotto le strade comunale a farne l’immediata denunzia presso codesto Ufficio di Segreteria, acciocchè si possano preventivamente studiare ed imporre quei provvedimenti che valgano ad assicurare la sicurezza della viabilità e non abbiano ad ostacolare tutti quei lavori di carattere igienico che si spera eseguire in un non lontano avvenire. Firmato Il Direttore dei lavori Ing. Giovanni Salvatore”.
Quella del’Ing. Giovanni Salvatore fu una comunicazione giuridicamente e tecnicamente ineccepibile.
Il provvedimento del Sindaco non si fece attendere, ed immediatamente curò la pubblicazione di un manifesto nel quale dispose:
“Tutti i cittadini che abbiano le cantine sotto le vie di questo abitato, di denunziarne a questo Ufficio Comunale la loro esistenza ed ubicazione nel termine di 8 giorni dalla data del presente manifesto onde si possa preventivamente studiare da chi di diritto i provvedimenti che valgano ad assicurare la regolare esecuzione dei lavori della tubulatura e la sicurezza della viabilità, salvo gli obblighi che incombono ai proprietari delle cantine stesse di eseguire le opere necessarie per il riempimento dei vuoti che fossero scoperti e altre occorrenti opere di muratura”.
Quando si dice dei corsi e dei ricorsi della storia…Quello delle cantine “occulte” è stato un fenomeno sempre presente in questo paese, il cui sottosuolo, fino agli anni ’80, era tutto attraversato da cantine. Molte di esse furono individuate e chiuse durante le fasi della demolizione e della ricostruzione, ma non è detto che qualche altra non sia presente ancora oggi.
Il 6 Giugno il Direttore dei lavori trasmise un altro stato di avanzamento dei lavori, con i certificati di pagamento della terza rata di £ 131,563,06, di cui £ 124.606,99 per l’Impresa ed il resto per competenze tecniche spettanti al Direttore dei Lavori.
Ma le grane non erano finite qui: il giorno 5 giugno, nel corso dei lavori di posa della tubazione, venne fuori un cunicolo di acque luride, assai pericoloso per l’igiene pubblica, in quanto vicino alla conduttura dell’acqua. Si trattava “di un canale lurido con scolo di materiali fecali provenienti dal cesso esistente nella casa di Lodise Filomena”. L’Ufficiale Sanitario relazionò immediatamente al Sindaco che, prontamente, emise un’ordinanza di chiusura ed eliminazione del cunicolo: L’ordinanza era destinata ad una tale Lodise Filomena di Lorenzo. Le veniva ordinato di “chiudere a fabbrica regolare entro due giorni…il cesso in parola tanto alla sua origine, che all’estremità del canale sporgente sull’acquedotto comunale in costruzione…” La casa che aveva lo scarico di acque luride si trovava nel Corso Margherita ed era proprio quella in cui abitavano, in affitto, i coniugi Salvatore-Madonna, genitori dell’Ing. Direttore dei Lavori.
Nell’ordinanza si prescriveva di sistemare anche le acque piovane di stillicidio, immettendole, come in precedenza nella cunetta che portava “nel vicino ponticello esistente presso la casa dei Signori Mirra”.
L’ordinanza risulta firmata, “Pel Sindaco”, da Rocco Infante, Assessore Delegato, e fu notificato all’interessata lo stesso giorno “per sua legale scienza e per tutti gli effetti di legge consegnandola a persona propria”.
In data 11 Giugno il Direttore dei Lavori, da Foggia, scrisse al Sindaco questa lettera:
“Urgendo compilare le perizie suppletive dei lavori imprevisti, nonché in vista del futuro serbatoio, prego al S.V. Ill.ma voler richiedere, con cortese, massima sollecitudine all’On.le Ufficio del Genio Civile di Avellino tutti gli allegati del progetto Mastrocinque onde trasmetterli allo scrivente per la necessaria compilazione. Con osservanza, Firmato Ing. Giovanni Salvatore”.
Alcuni cittadini avevano presentato ricorso alla Sotto Prefettura di Ariano di Puglia, che in data 12 Giugno scrisse:
“Circa il numero e l’ubicazione dei fontanini sono pervenuti ricorsi alla Prefettura di Avellino.
Prego V.S. fornirmi dettagliate informazioni al riguardo e di adottare nel contempo gli eventuali provvedimenti del caso ad evitare qualsiasi minimo turbamento dell’ordine pubblico”.
Il Sindaco convocò il Consiglio Comunale e riferì il contenuto della nota del Sotto Prefetto di Ariano.
Il Consiglio ribadì che non era stata apportata alcuna modifica all’ubicazione dei fontanini prevista dal progetto Mastrocinque, che si trattava al più di spostare di pochi metri il punto designato per qualche fontanino, onde salvaguardare l’interesse patrimoniale del Comune e che erano del tutto infondate le voci che correvano fra i cittadini.
Nella stessa deliberazione il Consiglio deliberò, all’unanimità, “mantenersi fermo il numero dei fontanini pubblici designati in numero di nove nel progetto Mastrocinque, collocandoli nei punti e luoghi designati dal progettista”
Si diede poi incarico all’Ing. Giovanni Salvatore di redigere una perizia suppletiva per la costruzione del serbatoio e per il pagamento della indennità di esproprio da corrispondere ai proprietari dei mulini.
Francamente non si riesce a capire e a giustificare l’esigenza di espropriare i mulini, che furono quasi tutti distrutti o tagliati per favorire il passaggio della tubatura: bastava spostarla di poco e si sarebbe attraversato la zona demaniale. A meno che i proprietari dei mulini non fossero…d’accordo per l’esproprio di impianti che sarebbero rimasti inutilizzati. Ma si tratta solo di un’ipotesi…
Alla spesa si doveva far fronte con la richiesta di un mutuo suppletivo alla Cassa DD. PP.
Nella stessa seduta Il Consiglio deliberò l’approvazione del II° e III° stato di avanzamento dei lavori dell’acquedotto “Bocche”.
Alla seduta, oltre che al Sindaco Angelo Raffaele Gallicchio, intervennero i Consiglieri Capobianco Felice, Clemente Celestino, Clemente Luigi, Di Ianni Giuseppe, Loffa Lorenzo, Melchionna Giuseppe e Santoro Cav. Pasquale. Risultarono invece assenti Nigro Giuseppe, Pastore Rocco, Salvatore Giuseppe (deceduto), Manzi Onofrio, Infante Rocco, Caruso Vito e Santoro Gaetano.
Il 20 Giugno il Sindaco, come aveva deliberato il Consiglio, affidò all’Ing. Giovanni Salvatore l’incarico di predisporre il progetto suppletivo che doveva essere compilato “con cortese sollecitudine, allo scopo di scongiurare malintesi in questa cittadinanza”.
Dalla lettera apprendiamo che “il capo d’arte” dei lavori era Manzi Giovanni, padre del compianto Geom. Giuseppe Luigi e di Rocco Vincenzo, a noi tutti noto come “Mario”. Tutti lo chiamavano “’Mpicciapagliaro”.
Negli anni successivi all’arrivo dell’acqua fu lui a gestire la manutenzione dell’acquedotto e a fare gli allacciamenti privati, diventando un “mastro fontanaro” vero e proprio. Il figlio Mario, nato il 14.4.1916, mi ha raccontato che quando il padre arrivava con i suoi attrezzi per effettuare un allacciamento, era accolto con grande gioia da tutti.
In origine era falegname ,ma proprio a seguito dell’esperienza maturata nei cantieri, diventò imprenditore e tuttofare. Molti anziani lo ricordano ancora come capo mastro nella fase della costruzione delle Casette Asismiche, dopo il terremoto del 1930.
Alcuni anziani hanno riferito che nella casa del Manzi era ospitato anche l’Ing. Camillo Ferrari, che seguiva i lavori per conto dell’impresa assuntrice dei lavori di costruzione dell’acquedotto.
Io personalmente lo ricordo come suonatore della campanella del cimitero vecchio, ogni volta che si accompagnava al riposo eterno un nostro concittadino.
Il capo d’arte, anche in qualità di Carifano, aveva lamentato la carenza di pezzi speciali ed il conseguente rallentamento dei lavori, facendolo presente al Sindaco.
Il Sindaco concludeva la sua lettera di incarico con queste parole:
“Per mio discarico propongo che si dia ordine al Manzi di continuare i lavori di scavo per la diramazione dell’acqua ai fontanini nei luoghi e punti designati e nel contempo fa provvedere all’acquisto del materiale mancante”.
Nello stesso giorno il Sindaco scriveva all’Impresa Marchetti, al recapito di Via Pola , 11 in Roma:
“Il capo d’arte, Manzi Giovanni, mi riferisce che i lavori dell’acquedotto devono essere sospesi per mancanza di pezzi speciali, come da ordini impartiti da V.S.
A scongiurare il malcontento di questi cittadini, che potrebbe degenerare qualche cosa di grave, ed a scanso di mie personali responsabilità, prego, affinchè i lavori di scavo per la diramazione dell’acqua ai fontanini, siano proseguiti. Mi attendo un cenno di assicurazione”.
ANCORA LE CANTINE…
Nel mese di Luglio il Sindaco chiedeva all’Ing. Ubaldo Marchetti “di dare disposizioni agli esecutori dell’opera, perché eseguano i lavori occorrenti per la chiusura delle cave o cantine attraversate dalla condotta in parola a garanzia della tubulatura…giacchè gli interessati non hanno curato di ottemperare nel termine prescritto all’ordinanza sindacale”.
Il giorno 4 di Luglio il Sotto Prefetto di Ariano di Puglia, a nome del Prefetto di Avellino, chiedeva al Sindaco di inviare gli stati di avanzamento dei lavori, corredati di Capitolato speciale di appalto, dei libretti delle misure e del registro delle contabilità di lavoro. La richiesta viene evasa dal Direttore dei Lavori in data 22 Luglio.
In data 6 Il Consiglio delibera di consentire lo spostamento di pochi metri del fontanino ubicato nei pressi della casa del Dottor Salvatore, di quello ubicato in Via Addolorata e di quello del “Rione Giuliano”. Gli abitanti del Rione Giuliano avevano inoltrato una richiesta sottoscritta al Sindaco.
Il giorno 7 il Sindaco si vide costretto ad emettere un’ordinanza/ingiunzione per le cavità interessanti i sottosuoli stradali di demanio comunale, nei confronti dei “signori Lungarella Vincenzo fu Raffaele, emigrato, ed oggi Saura Filomena di Salvatore, Passaro Rocco fu Antonio, Saura Francesco Saverio fu Vito Michele, Santoro Gaetano di Michelarcangelo, e Santoro Nicola di Michelarcangelo.
Si assegnava il termine di otto giorni per provvedere al riempimento delle cantine e si diffidava ad adempiere, pena l’affidamento dei lavori “in danno e a spese della parte diffidata” all’impresa che stava effettuando i lavori della posa in opera della conduttura dell’acqua.
Da una nota scritta dal Sindaco Gallicchio al Direttore dei Lavori Giovanni Salvatore si rileva che i cittadini, cui era stata intimata la chiusura delle cantine, non avevano ottemperato all’ordinanza.
A seguito del provvedimento adottato il Sindaco certamente si fece qualche nemico in più e perse qualche elettore.
Ma la mancata ottemperanza alle ordinanze sindacali si verificherà spesso anche nei tempi successivi e più recenti.
FINALMENTE ARRIVA L’ACQUA…
Non abbiamo trovato agli atti la data certa dell’arrivo della tanto attesa e sospirata acqua a Carife.
Michele Lungarella, che nel 1924 aveva 9 anni, ricorda che una prima fontana fu lasciata sul bosco, durante l’esecuzione dei lavori: serviva per dare l’acqua agli operari e anche qualche cittadino andava a riempirla
Alfredo Giangrieco, un simpaticissimo e perfettamente lucido anziano, che, essendo nato il 15.11.1909, compirà 100 anni nel corso del 2009, ha riferito che l’acqua arrivò durante il 1924. Lui, ragazzo allora quindicenne, ricorda che un tubo fu lasciato aperto per quasi un mese in prossimità del Convento sui Fossi e che l’acqua, tra la gioia di tutti, scorreva a cascatella verso la piazza. Ha raccontato anche che per diversi giorni l’acqua aveva un sapore di catrame, dovuto al fatto che i tubi erano catramati. Tutti però correvano ad attingere il prezioso liquido con conche di rame, catini, quartare, ciotole, barili e quant’altro avevano. Era la fine di un incubo durato troppo a lungo ed il coronamento di un sogno, che si era finalmente avverato: Carife si prendeva la sua rivincita!
Possiamo immaginare la soddisfazione dei tanti amministratori, che avevano portato avanti il progetto tra mille pastoie burocratiche e con tanti personali sacrifici. Finalmente ce l’avevano fatta e la cittadinanza era soddisfatta nelle sue aspettative.
Qualcuno alla fine si lamentò e l’acqua, deviata nel vicolo fiancheggiante casa Flora, raggiungeva le ”Lavanghe”, dove qualcuno l’avrebbe utilizzata per irrigare qualche orticello. Succederà la stessa cosa anche per le acque che scorrevano dal fontanino collocato al “Piano dei Cavalieri”, al di sotto del quale spuntarono altri orticelli.
Ma il Comune, specie con l’arrivo dei Podestà, invierà i “Compassatori” a misurare le superfici irrigate ed istituirà un relativo canone.
Il nostro Alfredo ricorda anche che fioccarono le prime contravvenzioni per chi lavava verdure o biancheria sotto i fontanini. Ne parleremo più avanti.
Che l’acqua sia arrivata nell’estate del 1924 lo possiamo capire dal fatto che il Consiglio Comunale concesse all’Ing. Camillo Ferrari la cittadinanza onoraria e glielo comunicò, in data 12 Agosto 1924 il Sindaco Gallicchio. L’Ing. Ferrari era residente a Roma, in Corso Umberto I° 380.
Mi sembra opportuno riportare il testo della lettera inviata dal Sindaco al professionista, che aveva fatto risparmiare all’Amministrazione tempo e soprattutto “molte migliaia di lire”, come si legge nella deliberazione:
“Son lieto poterle inviare, per semplice comunicazione, la qui acclusa deliberazione consiliare con la quale è stata conferita a V.S. la cittadinanza onoraria di questo Comune di Carife.
Mi lusingo che questa spontanea manifestazione di stima e devozione, fatta in omaggio dei suoi meriti troverà il pieno gradimento da parte della stessa S.V..
E frattanto con le espressioni di congratula mento che faccio a lei, grato novello nostro concittadino, le protesto i sensi di cordiale osservanza di questo Civico Rappresentante e di quella di cui mi rendo interprete, della intera cittadinanza carifana. Ossequi. Il Sindaco.”
L’impresa aveva dato lavoro a molti Carifani e l’Ingegnere era stato ben accolto dalla cittadinanza, facendo i lavori dell’acquedotto in modo sicuramente apprezzabile.
FRA INCOMPRENSIONI E POLEMICHE…
Nel mese di Settembre viene presentato un altro stato di avanzamento (il 6°ed ultimo sarà pagato dal Regio Podestà, Dott. Pasquale De Biasi, nel corso del 1927).
Agli atti c’è tutta la corrispondenza intercorsa tra Amministrazione, Direttore dei Lavori, Genio Civile, Regia Prefettura, Sotto Prefettura ed Impresa: la corrispondenza a volte è concitata ed evidenzia le difficoltà incontrate nel corso dell’iter burocratico delle pratiche.
Il 15 il Consiglio Comunale deliberò di approvare nuovi prezzi concordati tra l’Ing. Camillo Ferrari e il Direttore dei Lavori, Ing. Giovanni Salvatore, che scrive una lettera sull’argomento ad uno zio Consigliere Comunale. Io credo che si trattasse di Giuseppe Salvatore.
Il Consiglio autorizzò “il Sindaco a firmare in segno di accettazione il verbale di concordato del nuovo prezzo”.
I prezzi riguardavano i tubi da 70, 80 e 90 millimetri di diametro, non previsti nel progetto principale.
Alla seduta, oltre naturalmente al Sindaco A.R. Gallicchio, parteciparono i Consiglieri Capobianco Felice, Caruso Vito, Clemente Celestino, Clemente Luigi, Di Ianni Giuseppe, Loffa Lorenzo e Melchionna Giuseppe. Risultarono invece assenti Infante Rocco, Manzi Onofrio, Nigro Giuseppe, Pastore Rocco, Salvatore Giuseppe, Santoro Cav. Pasquale e Santoro Gaetano.
A titolo di pura curiosità si convenne di accettare il prezzo di £ 35,60 per i tubi da 70 mm., £ 44,00 per quelli da 80 mm. E £ 50,70 per quelli da 90. Il prezzo era comprensivo di “messa in opera secondo le prescrizioni del capitolato”.
I tubi erano naturalmente necessari per le diramazioni dell’acquedotto in paese.
L’iter burocratico fu lungo ed irto di difficoltà. Alla fine l’impresa sospese i lavori, in attesa che fosse approvata dal Genio Civile e quindi dalla Giunta Provinciale Amministrativa. Il Sindaco si arrabbiò molto e richiamò il Direttore dei Lavori ai suoi doveri. L’Ing. Salvatore gli rispose per le rime, declinando le sue responsabilità, cosa questa che scrisse diverse volte nelle frequenti lettere che scrisse al Sindaco. Angelo Raffaele Gallicchio scrisse che non avrebbe risposto degli eventuali malumori della popolazione, che voleva vedere ultimata l’opera.
Il 6 Ottobre il Sindaco scriveva al Sig. Salvatore Giovanni (il Direttore dei Lavori): “Da circa un mese i lavori di questo acquedotto comunale sono stati sospesi senza manifestare la causale.
Approssimandosi la stagione invernale, e dietro parere di questa Giunta Municipale prego V.S. invitare l’Impresa dei cennati lavori a riprenderli nel minor tempo possibile.
Resto in attesa di un cenno di assicurazione. La ossequio. Il Sindaco”.
La risposta dell’Ing. Salvatore, datata 9 ottobre, fu immediata e perentoria:
“A sollecito riscontro della nota a margine significo alla S.V. Ill.ma che il motivo della sospensione dei contro distinti lavori è stata la mancata approvazione da parte dell’Autorità Tutoria della deliberazione consiliare del 6 Luglio scorso.
Tale ed unica causale, del resto era nota e manifesta tanto alla S.V. quanto agli onorevoli componenti il Consiglio.
E’ bene quindi che si solleciti presso la Prefettura la restituzione della succitata deliberazione, munita del visto di approvazione, mentre lo scrivente si interesserà presso l’Impresa per una sollecita ripresa dei lavori stessi. Con osservanza. Ing. G. Salvatore”.
Alla lettera precedente ne seguì un’altra, ancora più “risentita” da parte dell’ing. Salvatore, accusato di aver trascurato i suoi doveri di Direttore dei lavori. In essa si dice che l’Amministrazione Comunale non aveva seguito, con le dovute pressioni e sollecitazioni la pratica e l’impresa non poteva riprendere i lavori prima che venisse approvata la perizia variativa.
L’Ing. Salvatore diceva nella lettera:
“Codesto Comune tenga per certo che i lavori saranno ripresi subito che la deliberazione del 6 Luglio sarà stata restituita approvata. Tutti i desideri del pubblico saranno accontentati, né si pensi che qualche lungagine (sic!) – non voluta anzi sempre scongiurata dall’Amministrazione, dalla Direzione dei lavori e dall’Impresa – possa significare anche la vostra tergiversazione. Tanto era mio doveroso compito comunicarle. Con la massima osservanza. Il Direttore dei Lavori. F.to Ing. Salvatore”.
UN BRUTTO NATALE…CON CONTENTINO FINALE
Il 1924 si chiuse con una lettera del 3 Dicembre da parte della Cooperativa “l’Edilizia” di Bologna, che effettuava i lavori.
In essa si lamentava il ritardato pagamento da parte della Prefettura dei certificati emessi dal Comune il 2 ed il 3 di Maggio dello stesso anno, in relazione agli stati di avanzamento.
Ovviamente l’Impresa, come sempre capita in questi casi, minacciava la rivalsa delle spese e la “corresponsione degli interessi dal 90° giorno dalla data della contabilità…avvertendo che noi dobbiamo tenere responsabile il Comune medesimo delle conseguenze anche gravi che deriverebbero a questa Società qualora i mandati in oggetto non potessero, in seguito alle ripetute negligenze del Comune, esserci pagati entro il corrente anno 1924
La lettera prosegue con altre gravi minacce rivolte al Sindaco, per la presunta negligenza o dimenticanza di questi nel trasmettere gli atti contabili.alla Prefettura.
Strano a dirsi: la lettera era sottoscritta proprio dall’Ing. Ferrari, al quale solo qualche mese prima era stata conferita la cittadinanza onoraria di Carife. L’idillio era durato poco ed era questo sicuramente un brutto modo di scambiarsi gli auguri per l’imminente Natale.
Sul posto l’Impresa aveva lasciato il “Capo d’opera” Giambattista Manzi, (detto “Mpicciapagliaro), che si adoperava in tutti i modi per calmare Sindaco e concittadini.
Il 12 di Dicembre arrivò un’altra tegola in testa ai nostri Amministratori, all’Impresa e al Direttore dei Lavori: il Genio Civile, a seguito di sopralluogo, in una nota inviata al Prefettura, mosse una serie di rilievi ben precisi in merito alla contabilità. Si legge nella lettera che arrivò al Comune:
“Dalla verifica locale si è rilevato che quasi tutte le misure contrattate differenziano notevolmente da quelle registrate sul libretto delle misure (pozzetto di sfiato a pag. 43, briglie a pag. 44 e 45). Tale fatto fa nascere il dubbio che molte altre partite, che non è stato possibile controllare, sian non esattamente registrate. Occorrerebbe quindi verificare tutte le misure, ciò che esorbita dal compito di detto Genio Civile.
Il sistema seguito nella misurazione e registrazione degli scavi risulta poco chiaro e perciò riesce impossibile verificarne l’esattezza.
A pag. 2 del libretto delle misure è riportata la costruzione di un pozzetto, che risulta scavato in materiale torrentizio, senza che lo scavo sia poi rivestito da muratura salvo la platea in calcestruzzo e l’intonaco in cemento della luce interna. Non si comprende con quale criterio sia stato costruito un tale pozzetto. Lo stesso dicasi pel pozzetto a pag. 4 e 5 del libretto.
A pag 35 del libretto manca la firma del Direttore dei lavori. Nel registro di contabilità l’importo dei lavori deve essere riportato al lordo, come pure deve risultare chiara la detrazione della somma pagata per materiali in ammanni mento.
Nel primo certificato in data 2.1.1924 per diritti di direzione dei lavori trovasi una somma di £ 4.000 per assistenza. Non si comprende perché, oltre alle competenze per direzione e contabilità dei lavori, siano state nella specifica esposte anche le competenze, che sono dovute all’assistente ai lavori.
Pertanto in base alla deliberazione 19.9.1924 di Codesto Consiglio Comunale, circa la nomina dell’Ing. Salvatore a Direttore dei Lavori in parola, occorre che la specifica suddetta sia riprodotta, limitandola alle sole competenze per direzione e contabilità.
Non si comprende come possa giustificarsi il certificato in data 2.1.1924 a favore del progettista Ferdinando Mastrocinque, quando nella deliberazione 22.5.1923, con la quale si affidava la Direzione dei lavori all’Ing. Salvatore, è stabilito che dal compenso del 6% spettante ad esso Salvatore sarà prelevata la spesa pel progetto all’Ing. Mastrocinque.”
A seguito di questi rilievi mossi dal Genio Civile la Giunta Provinciale Amministrativa non poteva certo approvare gli atti inviati dal Comune: davvero una bella rogna per tutti…a dimostrazione che certe cose succedevano anche allora.
In pari data furono restituiti dalla Prefettura tutti gli elaborati inviati dal Comune.
Nella nota però si diceva anche che l’Ing. Camillo Ferrari, direttore Tecnico della Società Cooperativa “L’Edilizia” aveva rappresentato le proprie difficoltà economiche e la necessità di riscuotere, almeno parzialmente, le somme spettanti. Fino a quel momento aveva riscosso, a fronte di oltre 400.000 £ spettanti per i lavori effettuati, il solo importo del I° certificato di pagamento ammontante a £ 143.033, 35.
La lettera concludeva:
“Il Genio Civile, riconoscendo che le ragioni addotte dalla Cooperativa edilizia meritano di essere prese in considerazione, tanto più che le deficienze riscontrate nella regolarità degli atti contabili sono imputabili più alla Direzione dei lavori che non all’Impresa assuntrice, ed anche per evitare liti a codesto Comune, è venuto nella determinazione di dar corso ai due certificati n. 2 in data 2.1.1924 di £ 13.563,06 e n. 3 del 3.6.1924 di £ 124.208,27.”
In attesa delle opportune rettifiche da apportare agli atti il Genio Civile operava una trattenuta del 10%, “a garanzia del risultato delle modifiche cui sopra”. La ritenuta, che ammontava a £ 25.584,32, “potrà essere inclusa nel 4° certificato di acconto, al quale però non si darà corso se gli atti non saranno stati completamente regolarizzati.
Ai certificati a favore del Direttore dei lavori si darà corso quando sarà stata regolarizzata la contabilità, ferme restando le osservazioni fatte nella precedente nota di questo Ufficio.
Era un modo questo di salvare capra e cavolo e di far fare un buon Natale a tecnici , amministratori ed operai della “Società Cooperativa l’Edilizia”, ma non fu un buon Natale per l’Ing. Giovanni Salvatore, al quale sicuramente non possiamo fare alcun addebito.
La Cassa DD.PP. pagò quanto richiesto, ma, sopraggiunto l’inverno, i lavori non potevano essere a questo punto ripresi.
CONTINUANO LE POLEMICHE…
Il 31 Dicembre 1924, ultimo giorno dell’anno, il Sindaco Angelo Raffaele Gallicchio, con una grafia meno comprensibile del solito, scrisse questa lettera a Prefetto e Sotto Prefetto:
“Informo V.S. Ill.ma che sono venuto a conoscenza che la impresa dei lavori di questo acquedotto comunale…rappresentata da Marchetti Ubaldo e Camillo Ferrari, che assume le vesti di Direttore tecnico della Cooperativa predetta, ha diramato delle lettere aperte a vari cittadini di questo Comune, sfocando una incomprensibile acredine contro quest’Amministrazione Comunale attribuendo indolenza ed intralci immaginari nei pagamenti dei certificati dei lavori eseguiti dell’acquedotto comunale, minacciando interrompere il corso delle condutture e privare di acqua questa popolazione che già ne gode da circa un anno e di abbandonare il prosieguo dei lavori che sono vicinissimi al perfezionamento e completezza dell’opera appaltata.
Tutti questi infondati pretesti che costituiscono gratuite insinuazioni che nascondono artifici e cavilli, mirano ad eccitare gli animi contro i dirigenti di quest’Amministrazione e creare disordini e dimostrazioni ostili contro la medesima, specialmente se venisse a verificarsi una arbitraria soppressione dell’acqua che adesso soddisfa i bisogni della popolazione, la quale non saprebbe come sopperire alla mancanza.
Tanto io che l’Amministrazione e l’Ufficio di Segreteria siamo a posto, come le dimostrano gli atti delle pratiche espletate , e nulla vi è che possa rimproverare la nostra coscienza., mentre il ritardo di pagamento si deve ricercare, come è noto anche a Codesto Ufficio…nei seri rilievi fatti sugli atti di contabilità inviati ad approvazione.
Compio il dovere di riferire a V.S. Ill.ma…a scanso di responsabilità e di possibile turbamento dell’ordine pubblico, nel caso che si mettesse in attuazione la minacciata ed arbitraria azione circa la privazione dell’acqua agli abitanti”.
Credo che sotto sotto anche l’opposizione facesse la sua parte, contribuendo ad alimentare un clima di tensione…
Il 1924, anno in cui era arrivata finalmente l’acqua attesa da sempre da parte di una popolazione assetata, costretta a fare grandi sacrifici per andare in giro a prenderla, si chiudeva all’insegna delle polemiche, che in questo paese, ieri come oggi, non sono mai mancate.
MA COME SI AMMINISTRAVA IN QUEGLI ANNI?
Come abbiamo detto in precedenza il Municipio aveva la sua sede presso l’abitazione privata dei Flora, e solo dopo il 1866 potè disporre di una sede propria. Superò indenne i diversi terremoti, che si verificarono durante il secolo scorso. Ricordiamo solo quelli più vicini a noi: Luglio 1930, Agosto 1962 e Novembre 1980. Quest’ultimo fu fatale per il nostro glorioso Palazzo Municipale, che, gravemente danneggiato, fu demolito.
In un primo momento La Soprintendenza ai B.A.A.A.S. di Salerno non consentì alla Sezione Autonoma del Genio Civile di Ariano Irpino di ordinare e di affidare i lavori di demolizione dell’antica struttura. In un secondo momento, constatato lo scarso valore artistico e la pericolosità dell’immobile, ne consentì la demolizione, prescrivendo il recupero del “portaletto” in pietra.
L’iscrizione che ricordava il fondatore, Canonico G. Tedeschi, e la lapide con incisi i nomi dei caduti della Grande Guerra furono recuperate. La lapide fu ricollocata nello stesso sito del nuovo Municipio ricostruito; l’iscrizione invece, spezzata in più parti, è tristemente depositata tra rottami ed immondizie varie nel locale seminterrato dell’Edificio delle Scuole Elementari attualmente chiuso, perché non più rispondente alla normativa vigente per l’edilizia scolastica.
Scorrendo i registri delle Deliberazioni adottate in quegli anni dai nostri Amministratori vi troviamo un’attività febbrile e concitata, per molti versi più complicata di quella che vivono gli Amministratori di oggi.
Abbiamo letto atti deliberativi con i quali si assegnavano suoli di proprietà comunale ai cittadini che ne facevano richiesta, di tasse e balzelli vari che venivano imposti ai cittadini più abbienti, di aumenti di stipendio concessi ai pochi dipendenti, di uso di spazi comunali dietro pagamento di un canone di fitto, di viabilità da sistemare, di resistenze in liti e giudizi, di approvazioni di bilanci e di conti consuntivi, di questioni inerenti la manutenzione del cimitero che dava molti problemi, di nomine di spettanza comunale da fare negli Enti Morali presenti a Carife (Monte Frumentario Pezzano, Monte Frumentario San Rocco, Congrega di Carità, ecc.), con l’inevitabile strascico di polemiche.
Abbiamo trovato traccia notevole di un forno di uso pubblico, da mantenere in efficienza per i cittadini che vi andavano a cuocere il pane: era il forno detto “Della Terra” e si trovava nel larganeo accanto all’abitazione di Tedeschi Giuseppe Mariano (“Staccion’).
Molti problemi dava anche la gestione del demanio e della Montagna di Carife, frequentata dai fornaciai, che pagavano un canone per andare a tagliare le ginestre, e dai pastori (anche provenienti dalla Puglia) che pagavano una tariffa per ogni capo ovino ammesso al pascolo. Ne parleremo più avanti.
Non era certo facile districarsi in una miriade di problemi che venivano da una cittadinanza non sempre alfabetizzata, alle prese con una economia di pura e semplice sussistenza: spesso per avere il grano in prestito per la semina si rivolgevano ai due Monti frumentari. Dovevano però restituire, entro l’annata agraria, e con gli interessi, quello che avevano avuto in prestito sotto garanzia (grano, granone, ecc.); non mancarono eccessi di zelo, se non veri e propri soprusi da parte degli amministratori, tanto che a volte ci si trovò di fronte a dei veri e propri prestiti ad usura. Bisognava restituire due misure di grano in più per ogni tomolo avuto in prestito, e poiché la resa dei campi senza concimazione era a quei tempi limitata, a volte non era possibile mantenere l’impegno. Il Monte Frumentario Pezzano era presieduto dall’Abate/Parroco, da un componente nominato dalla Curia Vescovile e da un terzo, nominato dall’Amministrazione Comunale
Ma di questo parleremo in un’altra occasione.
Spesso si andava a mietere in Puglia per racimolare qualche lira in più, necessaria per sfamare tante bocche. Ma anche questa è un’altra storia.
Toccava all’Amministrazione fissare il “fuocatico” su case e terreni, il prezzo del mosto, applicare la “mercuriale” (il prezzo medio di alcuni generi, tra cui il grano, l’avena, il granone, l’orzo…), emanato a cura della Camera di Commercio.
Insomma dietro ogni deliberazione è possibile leggere la storia di un mondo contadino, che spesso aveva a che fare con fame, povertà e malattie ed era quasi sempre ostaggio dei notabili possidenti, più o meno rapaci. Sarebbe bello se qualche studente di Carife facesse la propria tesi di laurea su questi argomenti, e non solo sul dialetto, come le due ragazze che lo hanno già fatto molto lodevolmente.
La Giunta Provinciale Amministrativa vigilava e controllava spietatamente tutti gli atti del Comune, e spesso si mostrava cavillosa ed ostacolava il percorso delle deliberazioni adottate in seno al Consiglio Comunale.
Nelle carte e nei registri, ingialliti dal tempo e pieni di polvere, è possibile trovare insomma quanto occorre e tutte le testimonianze utili per scrivere la nostra storia, quanto meno del XVIII e XIX secolo, visto che non c’è più alcuna traccia del periodo precedente: l’archivio comunale fu oltretutto bruciato da parte di cittadini rivoltosi e parte dal 1806. Un vero peccato…
Fino al 1926 non si son trovate, negli atti, lettere scritte a macchina. La Olivetti a Carife arrivò molto tardi…
A mano erano scritte, naturalmente, anche le lettere che arrivavano dalla Prefettura e da altri Enti, fatta eccezione per le fabbriche che costruivano tubi ed erano in possesso delle macchine da scrivere
Corre obbligo ricordare anche che a Carife, in quegli anni, non c’era ancora la corrente elettrica, che arrivò solo nel 1931, dopo l’ennesimo terremoto che aveva arrecato danni notevoli al nostro paese.
L’attività degli Amministratori, oltre ad essere rivolta in prevalenza, all’ordinaria amministrazione, doveva programmare le opere pubbliche, provvedere a gestire il patrimonio comunale, spendere oculatamente le poche risorse disponibili e, ovviamente, prestare ai cittadini tutta l’assistenza possibile e non solo quella squisitamente anagrafica.
Molti entravano nel portone del Palazzo Municipale, portando con sé un fardello gravoso di problemi e sperando in un aiuto, che spesso non poteva arrivare.
ESEMPI DI ATTIVITA’ DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE
A dimostrazione dell’attività dei nostri Amministratori degli anni ’20, riportiamo, in sunto, alcuni provvedimenti assunti negli anni 1925 e 1926.
Nel mese di Dicembre del 1925 il Consiglio Comunale fu chiamato a decidere sulle sorti del Forno Pubblico, che si trovava in un larganeo a destra scendendo dal Municipio verso la piazza. Era fatiscente, il tetto rischiava di crollare e bisognava effettuare urgentemente le necessarie opere di manutenzione, gravose per il Comune che non intese accollarsele.
In Carife in quegli anni, come nei successivi, funzionavano molti forni ed il paese era invaso ogni giorno dal profumo delizioso che da essi proveniva.
Il Consiglio, su proposta del Sindaco, deliberò di concedere “in enfiteusi perpetua con spese a carico dell’enfiteuta dell’onere della manutenzione e di ogni buona cura per il suo regolare funzionamento”, onde assicurare ai cittadini un prezioso ed indispensabile servizio.
Il canone fu fissato in £ 300 annue e si scelse la via della pubblica licitazione per concedere il forno.
Poiché l’Amministrazione usò spesso il sistema dell’enfiteusi, credo sia necessario spiegare in che cosa consisteva questo istituto giuridico.
Con l’enfiteusi veniva concesso un diritto reale di godimento su un fondo o un bene altrui, in base al quale il titolare (enfiteuta) gode del dominio utile sul fondo stesso, obbligandosi però a migliorarlo e pagando al proprietario un canone annuo in danaro ovvero in derrate alimentari; secondo il diritto vigente l’enfiteusi può risolversi in proprietà dopo almeno venti anni, mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo. Era insomma una sorta di prestazione legata ad un immobile, sul quale il creditore non aveva diritto.
Successivamente molti, se non tutti, sfruttando apposite disposizioni, hanno affrancato il pagamento del “censo” nei confronti del Comune o di altri proprietari terrieri e sono diventati proprietari di quanto avuto in “enfiteusi”.
Nel 1926 l’Amministrazione Comunale si pose il problema della costruzione di un lavatoio pubblico. Il Sindaco-Presidente Angelo Raffaele Gallicchio (sempre lui) relazionò:
“Sarebbe opportuno, ora che si verificano degli inconvenienti igienici nel paese pel fatto che molte famiglie servendosi dell’acqua dei pubblici e privati fontanini lavano biancheria ed altro, riversando poi nelle pubbliche strade l’acqua servita allo scopo ed in altri larganei costruire un apposito lavatoio fuori l’abitato e precisamente ove esiste l’antica fontana pubblica facendosi adattare ed ampliare le vasche preesistenti ed asciugare la biancheria ed altri panni, con poco incomodo, si potrà servire dell’apposito lavatoio, come sopra è detto quando non si preferisca andare più lontano, e cioè alla così detta Acquara di proprietà del Comune di Castel Baronia.”
Qui, oltre che al fiume Ufita, si recavano a lavare i panni le nostre antenate, tra cui ce n’erano molte che lo facevano di professione, per sbarcare il lunario. Molte famiglie benestanti si servivano di loro e fornivano anche il sapone, quando non era fatto in casa mettendo a bollire grassi animali, olio fritto e soda. Molto più spesso usavano bollire la cenere ed usare l’acqua per la liscivia (La L’ssia) o per lavarsi i capelli.
Nella seduta in cui fu discusso il problema del lavatoio si procedette alla nomina di una Commissione, cui fu affidato l’incarico di raccogliere soldi tra la gente: di quella Commissione fecero parte Il Dott. Pasquale De Biasi (il futuro Podestà), i Consiglieri Comunali Vito Caruso e Melchionna Giuseppe e, infine, il Sig. Vincenzo Forgione, applicato di Segreteria.
Il Comune si interessò anche ripetutamente di opere pubbliche, tra cui trovarono ampio spazio gli interventi relativi alle fognature, alla viabilità e alla costruzione di un edificio scolastico. L’incarico per le fognature e per la sistemazione di Via Sant’Anna e di altre strade interne fu confermato all’Ing. Camillo Ferrari, incaricato di redigere un progetto definitivo. Evidentemente le polemiche precedenti tra il tecnico ed il Sindaco erano state dimenticate e l’Ing. era ormai “di fiducia di quest’Amministrazione”.
L’EDIFICIO” PURGATORIO”
Nel corso del 1925 i nostri Amministratori avevano chiesto all’Autorità Tutoria di riattare e sopraelevare il locale Purgatorio, indicando la trattativa privata per appaltare i lavori, il cui importo ammontava a £ 14.097,25.
In seguito però il Consiglio cambiò idea e deliberò:
“Poiché dopo matura idea quest’Amministrazione ha esagitato la convenienza che sarebbe meglio sbarazzarsi del suddetto locale anzicchè affrontare una spesa di oltre 14.000 lire…mentre dalla vendita del collabente e fatiscente fabbricato a privati, il Comune verrebbe ad introitare £ 20.000…e più e destinarle a scopi più utilitari, resterebbe esempio di sito antigienico e abbandonato, data la natura del suolo e sottosuolo che anticamente serviva a raccolta e deposito di ossa umane.
Considerato altresì che questo Comune è prossimo provvedersi di un apposito edificio scolastico giusta le pratiche predisposte ed approvate negli anni decorsi ed ora in via di aggiornamento, approva la proposta di vendita del locale…ai pubblici incanti in base a cifra risultante da apposita stima, che a cura del Sindaco sarà fatta”.
Ma le cose non andarono come gli Amministratori speravano. Il locale non trovò acquirenti, fu sopraelevato e riparato e nel corso degli anni successivi, almeno fino agli inizi degli anni Sessanta, fu ancora utilizzato come aula scolastica. Quando la sera del 23 Novembre 1980 un violentissimo terremotò colpì tragicamente il nostro paese, al piano superiore del Purgatorio era ubicato l’Ufficio di Collocamento Comunale, il piano inferiore invece era utilizzato da una famiglia in comodato d’uso gratuito e vi si allevavano conigli.
L’edificio fu gravemente danneggiato e il piano superiore, che aveva accesso da Via Sant’Angelo (ora Via Melina). fu demolito. Il piano inferiore, coperto provvisoriamente da lamiera ondulata fu protetto da un barbacane eretto su Via Sant’Anna. La struttura è stata recentemente restaurata e consolidata: di antico rimane solo il piano che dà sulla Via Sant’Anna col suo bel portale del 1770; tutto il resto è meglio non guardarlo.
Vi era stata sistemata la biblioteca comunale, con i suoi oltre duemila libri: ci pioveva sopra e qualche giorno fa si è provveduto a spostarli in luogo più sicuro: L’edificio, ora vuoto ed inutile, attende che qualcuno decida come utilizzarlo…
IL MONUMENTO AI CADUTI
Il Consiglio Comunale si occupò nel 1925 anche dello “Impianto del monumento ai.
caduti nella Guerra Mondiale”.
Di questa spaventosa guerra, dei lutti che essa causò al mondo, all’Italia e alla nostra popolazione, del rinvio della costruzione dell’acquedotto comunale abbiamo già parlato in precedenza.
Ovviamente il Consiglio Comunale non poteva prevedere che di lì a qualche anno di guerra ce ne sarebbe stata un’altra, tragica e dolorosa quanto la prima. I parenti dei 24 morti di Carife nella Seconda Guerra Mondiale hanno potuto vedere i loro nomi incisi su una lapide solo il 2 Novembre 1998.
L’iniziativa di erigere un monumento ai caduti di Carife era partita dalle Americhe, dove molti nostri concittadini erano emigrati. Tra di essi ricordiamo soprattutto i Cavalieri di Vittorio Veneto Giuseppe Macchia e Salvatore De Angelis. Quest’ultimo era nato a Carife il 27 Novembre 1898, emigrò per gli Stati Uniti nel 1922 con la nave Vulcania, ebbe due figli Prassede e Lorenzo Giovanni B, morì a Filadelfia nel mese di ottobre del 1985. La storia di Giuseppe Macchia, uno degli uomini più leali ed onesti di Carife, è raccontata dalla viva voce della figlia Lidia nella sezione audioteca del sito www.carife.eu. Era nato il 12.4.1892 e morì il 5.2.1991. Durante la sua vita fece ripetutamente il viaggio di andata e ritorno per l’America.
Ma leggiamo ora il verbale di quella seduta:
“Il Sindaco (Angelo Raffaele Gallicchio, n.d.r.) riferisce al Consiglio l’iniziativa di nostri concittadini residenti nelle Americhe per fare la raccolta di fondi allo scopo di voler erigere un monumento ai caduti di questo Comune nella Guerra Mindiale ed il loro desiderio di voler la designazione dell’area per l’erezione di tale monumento in luogo conveniente ed adatto di questo Comune.
Il Consiglio Comunale con piacere prende atto della patriottica iniziativa dei nostri concittadini che risiedono molto lontano assunta e concordemente delibera concedersi la spaziosa area sita al Largo Palazzo (Marchesale, n.d.r.) di quest’abitato, sulla quale potrà sorgere con decoro ed estetica il proposto monumento, senza alterare l’attuale condotta del sottosuolo delle acque di scolo del Palazzo Marchesale”.
Il Dottor Paolo Salvatore racconta invece nei suoi “Appunti”:
“Innanzi al Palazzo nello spiazzale si erge un monumento alla memoria dei caduti del 1915 per interessamento del Presidente la Sezione Combattenti Avv. Gaetano De Biasi – Ufficiale reduce di guerra – Podestà il fratello Dottor Pasquale – Direttore dei lavori Ing. Salvatore”. (L’ing. Salvatore, come abbiamo visto, diresse anche i lavori di costruzione dell’acquedotto comunale delle “Bocche”.
Il Monumento fu eretto, ma fu abbattuto dal terremoto del 1980. Solo qualche anno addietro si è provveduto alla sua ricomposizione, ma ancora non è stata ricollocata al suo posto la statua che era stata collocata alla sinistra dell’obelisco tronco piramidale, sul quale spiccava una vittoria alata con spada.
Anche il giardino gradonato circostante è in attesa di essere completato.
LA FRANA VITULLO
Di questa frana, molto antica, parla anche il Dottor Paolo Salvatore nei suoi “Appunti di Storia di Carife”:
“La frana Vitullo…detta così dal torrente omonimo, posto sul lato orientale, si verificò dopo il terremoto del 1732. Dopo il penultimo del 1910, lo Stato interessato dispose (1912-1914) la costruzione di una muraglia larga 2 metri a sostegno sotto le ultime case evacuate e demolite verso le cosidette Lavanghe. In seguito furono praticate sotto e sopra le spallate, nonché a valle e lateralmente delle piantagioni. Purtroppo la solita incuria non ha impedito l’abuso e il danno di abbattere le piantagioni e di non lasciare saldo il terreno circostante.
Le antiche amministrazioni, prima del 1870 costruirono a valle delle briglie per arginare lo smottamento del terreno della frana, ma da quella lontana epoca furono lasciate in balìa delle erosioni e del tempo”.
Il Dottor Salvatore, spesso protagonista in seno al Consiglio Comunale nei primi anni del ‘900, nacque a Carife il 23.7.1869 e qui morì, novantenne, il 22.1.1960. E’ da annoverarsi tra gli uomini più illustri di Carife. Di lui abbiamo già parlato in precedenza, riconoscendogli il merito di aver portato un piccolo getto d’acqua alle Fontanelle, prima che si costruisse l’acquedotto. Nei suoi “Appunti” considera giustamente come “penultimo” per Carife il terremoto del 1910, in quanto l’ultimo, per lui che scrive negli anni cinquanta, era quello del 1930.
All’epoca dell’adozione della Deliberazione relativa alla frana Vitullo il nostro concittadino aveva circa 55 anni, e quindi conosceva bene la situazione.
Nel verbale della seduta del Consiglio Comunale leggiamo che “si facevano voti all’On.le Ministero dei Lavori Pubblici per l’esecuzione delle opere complementari a quelle eseguite d’urgenza alla frana Vitullo, minacciante l’abitato di Carife”.
Il Sindaco continua “la grande frana sottostante a questo abitato, ha spaventosamente allargate le sue proporzioni dall’epoca della costruzione della strada rotabile Nazionale n. 53”.
La causa, secondo il Sindaco, era da attribuire ai 7 ponticelli ubicati lungo il non breve tratto della statale, convoglianti a valle le acque provenienti dalla montagna e dallo scioglimento della neve (allora ne cadeva di più), mediante “cunettoni o fossi laterali a difesa dei ponticelli stessi e della strada. Le voluminose piene vanno per naturale destinazione a sboccare immediatamente nella sottostante frana. Ed inoltre questa col terremoto del 1910 fu ancora maggiormente aggravata, tanto che il Genio Civile di Avellino, che ebbe a constatare l’entità del pericolo minacciante di travolgere nell’immensa voragine la metà dell’abitato con la vasta e bella Chiesa Madre in prossimità della frana, fu sollecito a far eseguire i primi ed indilazionabili lavori murari d’arginamento, dopo di aver emessi ordini d’imperio dello sfratto e demolizioni delle abitazioni site sull’orlo della stessa frana, il tutto come da progetto del… (spazio lasciato in bianco) per l’importo complessivo di £… (altro spazio lasciato in bianco), imputando il permanente e grave pericolo che si è ancora più accentuato per le nuove dilamazioni e straripamenti della voragine causati dalle acque provenienti dai ponticelli della strada nazionale”.
La strada Nazionale, prima di diventare Strada Statale n. 91 della Valle del Sele, cambiò più volte numero.
Molti ricordano ancora oggi le piene che scendevano dalla montagna, trascinando detriti e brecciame specialmente al Ponte, lungo la Via Addolorata. Dopo che furono create le gradonature e fu, a varie riprese, effettuato il rimboschimento, dalla montagna è scesa sempre meno acqua, e al Ponte sono state costruire case proprio nel profondo solco vallivo. La stessa cosa è stata fatta più a monte, a ridosso della Strada Statale 91, ora gestita dalla Provincia.
Il Sindaco usa la parola “dilavamento” che deriva da ” lama”, scorrimento superficiale di materiali argillosi , come quelli che si verificano negli Appennini, soprattutto in seguito a piogge violente o allo scioglimento delle nevi.
I nostri Amministratori dunque erano molto preoccupati di questa situazione e ne dipingevano un quadro forse più grave ed allarmante, per invogliare lo Stato ad intervenire con urgenza.
Anche il terremoto del 1980 fece la sua parte, tanto che si richiese l’intervento della Commissione Grandi Rischi istituita successivamente. La Commissione, a seguito di sopralluogo, riconobbe la pericolosità della situazione e fece erogare un finanziamento per effettuare gli urgenti necessari interventi di messa in sicurezza della zona di Via Ripa. Il primo atto fu quello di chiudere la grotta/cava di sabbia, che s’addentrava in profondità sotto la casa di Rocco Pastore e di creare delle briglie alla base del costone della strada che portava alla Contrada San Rocco.
Una ventina di anni prima una frana aveva causato lo smottamento e lo scorrimento a valle di una buona parte del nuovo campo sportivo in costruzione, insieme ai gabbioni che dovevano sostenerne l’angolo più prossimo alle vecchie vasche di depurazione, che poco accortamente erano state costruite proprio in quella zona.
Oggi l’area non presenta evidenti fenomeni di disseto idrogeologico e sembra aver raggiunto una decente stabilizzazione.
Il fenomeno erosivo, caratterizzato da lame e da calanchi, si è ora spostato più a valle. Numerosi solchi di erosione stretti e profondi comunque caratterizzano molte zone del territorio comunale con le loro ramificazioni, limitate da creste esili e prive di vegetazione. Tale fenomeno si produce in terreni argillosi per le acque meteoriche dilavanti.
LA GESTIONE DEL DEMANIO COMUNALE
Il Comune di Carife possiede un demanio, gravato di uso civico, che si estende a gran parte della Montagna. Di esso si son dovuti occupare spesso gli Amministratori che si sono avvicendati sul Comune. Per i primi anni successivi al rimboschimento le recinzioni con filo spinato impedivano agli animali di pascolare e distruggere la vegetazione. I cittadini residenti a Carife avevano, ed hanno tuttora, il diritto di legnatico, pascolo, raccolta di frutti del sottobosco ecc..Ultimamente, nel disinteresse generale, siamo stati violentemente privati di questo diritto da parte di alcuni pastori, che hanno condotto al pascolo sulla montagna centinaia di mucche.
Ad avventurarsi sulla nostra montagna, una volta oasi di pace e di tranquillità, ora sono soltanto pochi “coraggiosi” o “temerari” che osano andarci in cerca di asparagi; di funghi, castagne, origano, fragoline…neanche a parlarne. E’ di qualche giorno fa l’incidente capitato ad un nostro concittadino che si era recato sulla Montagna di Carife in cerca di asparagi: per farsi estrarre una zecca ed il suo rostro conficcato nella pelle si è dovuto recare al pronto soccorso, dove gli sono stati praticati diversi punti di sutura. Un gran numero di mucche, greggi di capre e pecore belanti, cagnacci ringhiosi grossi come vitelli, torelli baldanzosi infuriati si aggirano tra gli alberi, nella piana e sulla montagna distruggendo tutto e degradando l’ambiente tra il disinteresse , l’apatia, l’indifferenza, il fatalismo e, soprattutto, l’inerzia di chi è preposto istituzionalmente proprio alla salvaguardia di un paesaggio che occorrerebbe mantenere incontaminato.
Proprio nel vallone delle Bocche, a ridosso dei ruderi dei mulini, stazionano all’addiaccio un centinaio o forse più di mucche (sicuramente più di quante il luogo possa sopportare senza riceverne danni irreversibili).
Il posto è in uno stato di sconcertante e catastrofico degrado oltre che di desertificazione: escrementi pieni di mosche, zecche, placente maleodoranti di mucche che hanno appena appena partorito invadono tutto con gravissimo possibile ed imminente pericolo di contaminazione e di inquinamento con streptococchi fecali (e la brucellosi?) le sottostanti falde acquifere che forniscono l’acqua potabile (?) al nostro Comune e a quello di Castel Baronia ed altri Comuni (Alto Calore).
Il luogo viene ora evitato perfino dalle coppiette in cerca di luoghi appartati e di intimità, e che notoriamente non vanno troppo per il sottile, quando devono “incespugliarsi”, anche in pieno giorno: il rischio è quello di ritrovarsi una “vacca loca”…guardona allo sportello della macchina, o un furioso torello che parte alla carica, se la tua macchina è di colore rosso.
Ma l’assurdità maggiore consiste nel fatto che vengono erogati contributi (anche dalla Comunità Europea) per costruire sentieri (che dovrebbero essere persino illuminati di notte) per i diversamente abili, percorsi e staccionate, viene apposta segnaletica che invita ad “ascoltare il silenzio” e a “guardare i fiori” a praticare il “bici tour” e, contemporaneamente, si erogano contributi a chi “mantiene semplicemente in vita” le mucche che rovinano, imbrattano, degradano, deturpano, travolgono staccionate e parapetti, creano pericoli per il traffico (non ci sono segnali di animali vaganti lungo la ex S.S. 91, ora gestita dalla Provincia) e facendo rotolare ciottoli sulla sede stradale.
Il Consiglio Comunale in carica nel 1925 dovette affrontare un problema simile; ma vediamo cosa si decise in quella circostanza:
I fratelli Carlo e Francesco Frano di Candela (Foggia) avevano fatto domanda al Comune perché ammettesse al pascolo, nell’area demaniale, circa 300 pecore per i mesi di Agosto, Settembre e metà Ottobre (si trattava di una piccola transumanza/alpeggio). Trattandosi di un breve periodo i due fratelli chiedevano anche una riduzione della tariffa per la “fida”, ossia per il contratto di affitto di un terreno da utilizzare a pascolo. Il Consiglio Comunale concesse il pascolo ma non ridusse la tariffa, che, come da regolamento bisognava pagare al Tesoriere e dispose “che sia pagata l’intera tariffa in vigore che è stabilita per gli animali forestieri in £ 6 per ogni capo”.