CARIFE E LA VENERAZIONE DELLA SANTA CROCE

1. LE CROCI IN PIETRA

Il disastroso terremoto che colpì anche il nostro paese il 29 novembre 1732 causò innumerevoli vittime e colpì tragicamente la stessa famiglia del Marchese di Carife, Oltre a lui morirono sotto le macerie la moglie, due figli e due nipoti che erano suoi ospiti. Si salvarono gli altri due, che si trovavano a Napoli.
Con il terremoto crollarono, tra l’altro, la Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista ed il Convento dei Frati Francescani sui Fossi, dove si trovava anche il Palazzo dei Marchesi Capobianco.
Essendo andato smarrito il registro parrocchiale dei morti del 1732, non è allo stato possibile stabilire con certezza il loro numero. C’è che dice che furono un centinaio e chi sostiene, come il Dottor Paolo Salvatore, che essi furono addirittura470, cifra questa assai più probabile se, come recita l’epigrafe tradotta in precedenza, il terremoto svuotò quasi il paese dei suoi cittadini. Dell’evento disastroso si fa menzione nell’epigrafe presente sul portale della Chiesa Madre e in un cippo sormontato dalla croce. Il monumento fu eretto nei pressi della Collegiata e in seguito fu spostato alle spalle del Municipio e in seguito esso fu distrutto dalle intemperie, dall’incuria e dal tempo.
Il monumento reca una descrizione drammatica di ciò che era accaduto alla famiglia marchesale e ai cittadini di questo paese.
Vi si legge infatti:
“I cittadini di Carife, con pubblico denaro, tramite l’eccellentissimo signore Pasquale Capobianco, ebbero cura di innalzare, con culto più devoto, il trofeo della gloriosa Croce, caduta nello stesso luogo, a causa del violentissimo terremoto, che il 30 Novembre 1732 quasi svuotò di abitanti questo paese e portò commiserevole morte a molti della famiglia marchesale, con le pietre del palazzo sconquassato”.
L’iscrizione parla del terremoto del 29 novembre 1732, che rase al suolo quasi tutte le case di Carife, delle molte vittime e del lutto commiserevole che colpì la famiglia dei Marchesi. Il monumento fu eretto nel 1755 per volere del Marchese e degli stessi cittadini con una pubblica sottoscrizione, che, come si legge sul portale della Chiesa Collegiata, avevano contribuito anche alla sua ricostruzione (“POPULI SUMPTIBUS INDIGENAE”).

IL MONUMENTO DELLA SANTA CROCE ERETTO NELL’ANNO DEL SIGNORE 1755

IL MONUMENTO DELLA SANTA CROCE ERETTO NELL’ANNO DEL SIGNORE 1755

Ultimamente una parte di quel monumento, il cippo con l’epigrafe, è stato riutilizzato, con scelta improvvida e discutibile, per erigere un monumento alla Croce al bivio che si trova ad Est di Carife, in prossimità del Cimitero Vecchio: il falso storico è sicuramente clamoroso…ed è del tutto evidente.

IL MONUMENTO RECENTEMENTE COSTRUITO

IL MONUMENTO RECENTEMENTE COSTRUITO

Con ogni probabilità la parte sommitale dell’antico monumento, comprendente una bella croce in pietra, è quella che è conservata attualmente in sacrestia, e che potrebbe e dovrebbe ritornare al suo posto. Eccola nella foto:

La Croce in pietra conservata in sacrestia

La Croce in pietra conservata in sacrestia

Riportiamo integralmente una deliberazione, adottata dal Consiglio Comunale di Carife nel corso degli anni venti del secolo scorso, relativa al nostro MONUMENTO DELLA CROCE, perché la riteniamo molto significativa:
“L’anno millenovecentoventi addì trenta Dicembre in Carife e nel Palazzo Municipale, il Consiglio Comunale legalmente convocato si è riunito nelle persone dei Signori:

1. CARUSO GIUSEPPE (Sindaco)

2. SALVATORE Dr. PAOLO

3. CARUSO RAFFAELE

4. FORGIONE ANTONIO

5. SALVATORE EMANUELE

6. CLEMENTE NICOLA

7. MICCIOLO ROCCO VINCENZO

8. LODISE DOMENICO

9. CARSILLO GIOVANFILIPPO

10. CLEMENTE VITO

11. CIRIELLO ROCCO

12. MIRRA MICHELE

13. DE CICCO GIUSEPPE

ASSENTI

1. SCHIRILLO GIUSEPPE

2. GALLICCHIO ANGELO RAFFAELE

Assiste alla seduta pubblica il Segretario Comunale Signor Grande Clemente.
Il Signor Caruso Giuseppe riconosciuto che il numero dei Consiglieri intervenuti è sufficiente per la legalità della seduta invita i medesimi a deliberare sul seguente oggetto: Designazione della località per la ricostruzione della Croce in pietra alla strada omonima La Croce.
Il Sindaco Presidente dà lettura della domanda, pervenuta dall’Abate Parroco Salvatore D. Benedetto, il quale, fedele interprete dei sentimenti di questa popolazione quasi tutta religiosa, si fa a chiedere la designazione, da parte di quest’Amministrazione, della località ove dovrebbe essere ricostruita l’antica Croce di pietra, una volta esistente sulla piazzetta denominata Largo La Croce e che da circa 30 anni addietro fu abbattuta o dal tempo o ad opera di questi cittadini.
I Consiglieri Salvatore Dr. Paolo e Lodise Domenico esprimono il loro avviso che il più adatto sarebbe quello che trovasi intorno della casa di De Angelis Michelarcangelo, ove esiste spazio sufficiente senza che sia impedito il libero transito sulla strada La Croce.

Il Consigliere Carsillo propone, invece, che sia riedificata sul sito ove anticamente trovavasi e propriamente all’angolo della casa Santoro discostandosi da essa di un metro e cinquanta centimetri.
Il Consigliere Salvatore Dr. Paolo, accennando di essere sorto in questa popolazione religiosa due correnti, una designa la località presso la casa di De Angelis e l’altra l’angolo del Palazzo Santoro, propone che questo Consesso, per maggior libertà di voto, deliberi sull’oggetto in parola con bollettini scritti (Votazione segreta, n. d. r.).
Il Consiglio, conformemente a quanto dispone il primo comma dell’art. 295 della vigente legge comunale e provinciale ad unanimità approva la proposta del Consigliere Salvatore Dr. Paolo.
Il Signor Presidente invita, quindi l’Adunanza a deliberare alla (sic!) designazione della località cui trattasi, con dichiarazione che chi scriva sì esprime volontà che la Croce sia ricostruita ad un metro e mezzo distante dall’angolo del Palazzo Santoro, chi, invece, scriva no presceglie il sito a ridosso della casa di De Angelis Michelarcangelo.
Consiglieri presenti 13 – Votanti 13 – Maggioranza assoluta 7.
Procedutosi allo spoglio dei voti, coll’assistenza dei (sic!) scrutatori Mirra, De Cicco e Caruso Raffaele, si è ottenuto il seguente risultato: Voti che portano il sì n. 8; Voti che portano il no n. 5.
Il Signor Presidente nel proclamare e riconoscere l’esito di tale votazione dichiara che il Consiglio presceglie il sito suaccennato, presso l’angolo di casa Santoro, per la ricostruzione della Croce di pietra sulla piazzetta denominata Largo Croce.
A questo punto entra nella sala il Consigliere Gallicchio, il quale, pur non avendo dato il voto fa osservare che il Consiglio avrebbe dovuto soprassedere dal determinare la località per la ricostruzione della Croce fino al collaudo da eseguirsi dal Genio Civile, essendo tuttora in corso i lavori di sistemazione della strada a Largo Croce, per le eventuali variazioni che detto Ufficio potrebbe richiedere sia planimetricamente, sia altimetricamente ed anche come possibile deturpamento dell’estetica per la ricostruendo Croce”.
Il Consiglio non ritornò sull’argomento e non accettò l’osservazione mossa dal Gallicchio.
La Deliberazione fu pubblicata, senza reclami, Domenica 2 Gennaio 1921.
Nel mese di Agosto del 1922 (la deliberazione fu pubblicata senza reclami domenica 6 Agosto), il Consiglio dovette ritornare sull’argomento, in quanto “non è stata restituita dalle Autorità Superiori né approvata e né annullata” la precedente deliberazione.
La discussione continuò e si disse “che l’impianto della Croce è reclamato dalla quasi totalità di questa popolazione che invano attende da tempo un simile provvedimento, mentre procrastinandosi si verrebbe a soddisfare i desideri di qualche cittadino il quale, dimenticando che fino a pochi anni addietro vi erano depositati i ruderi della vecchia Croce nel larganeo omonimo, non intenderebbe che venisse ivi raccolta”.
Anche questa discussione finì in un nulla di fatto : con 11 voti a favore e 3 contrari si rinviò l’argomento ad altra data, in attesa del parere della Commissione Edilizia, che avrebbe dovuto pronunciarsi in merito alla collocazione del Monumento ed alla sua estetica,”per evitare che la Croce, da simbolo di pace, sia simbolo di eterna discordia”.
Un altro bel monumento alla Croce fu eretto al centro del vecchio cimitero comunale in contrada Petrala, negli anni successivi al 1880, anno in cui furono iniziati i lavori della sua costruzione.
A tal proposito Scrive il Dottor Paolo Salvatore nei suoi APPUNTI DI STORIA DI CARIFE:
“Sotto l’amministrazione dello stesso Sindaco (1880) (Il Canonico Giambattista Tedeschi, n.d.r.) fu iniziato il lavoro del Camposanto, ma la scelta del terreno fu quanto mai infelice specie sotto l’aspetto igienico-sanitario. Il sottosuolo è pieno d’acqua, smotta continuamente, e le Cappelle Gentilizie anch’esse si riempiono di acqua e smottano continuamente. Nessuna Amministrazione, per incuria o per mancanza di mezzi ha mai cercato di porre rimedio serio e cosciente, ed il Camposanto è ridotto in uno stato di abbandono che fa vergogna e disonore anche a dei zulù (sic!)”.
La Croce che campeggia al centro del vecchio Cimitero Comunale fu eretta, come si evince da una deliberazione adottata dal Vice Podestà Giuseppe Di Ianni, nel corso del 1927. Podestà di allora era il Dott. Pasquale De Biasi.
Leggiamo la deliberazione:
“L’anno millenovecentoventisette il giorno quattro del mese di settembre in Carife e nel palazzo Municipale, il Signor Di Janni Giuseppe Vice Podestà del Comune suddetto, assistito dal Segretario Signor Forgione Vincenzo: Oggetto: Concorso per la spesa della Croce nel Cimitero Comunale.
Il Podestà= Letta l’istanza di questo Abate Parroco Signor Salvatore Prof. Rocco del 13 spirante mese, tendente ad ottenere dal Comune una equa sovvenzione per la erezione della Croce Centrale nel Cimitero Comunale a decoro del Sacro Luogo= Considerato che la spesa ascende a Lire 2658,30 mentre le offerte spontanee raccolte fra questi cittadini hanno fruttato solamente Lire 986,60 e l’Amministrazione Municipale sente il dovere di elargire un sussidio, sia pur modesto, date le esiguità e la disponibilità del bilancio del corrente esercizio= Delibera elargire la somma di Lire 400,00 in concorso della spesa sostenuta da questo Rev.do Abate Parroco, Prof. Salvatore Rocco, per la erezione della Croce Centrale in questo Cimitero Comunale, rilasciando relativo mandato di pagamento al suddetto Salvatore, con prelevamento dall’art. 59 categoria “ lettera a) del Bilancio 1927.
Firmato Il Vice Podestà Di Ianni Giuseppe Il Segretario Comunale Forgione Vincenzo
Il cimitero, soppresso già prima del terremoto, fu completamente raso al suol oil 23 novembre 1980: lo spettacolo fu davvero sconvolgente per tutti.
La Croce è ancora lì ed è illuminata notte e giorno a rischiarare le macerie e le lapidi abbandonate di quel vecchio “Sacro Luogo”.

LA CROCE ERETTA AL CENTRO DEL VECCHIO CIMITERO

LA CROCE ERETTA AL CENTRO DEL VECCHIO CIMITERO

Il campo di inumazione, sempre  nel vecchio cimitero, è costellato di Croci di ogni dimensione e tipologia: ve ne sono soprattutto in marmo e in ferro battuto. Ognuna di esse indica il posto in cui in passato è stato sepolto, nella nuda terra, un defunto, del quale nessuno saprà più niente: non vi sono più riferimenti ai dati anagrafici delle persone che sotto o all’ombra di quelle croci riposano per l’eternità, e forse non ci sono più nemmeno i discendenti a deporre un fiore o ad accendere pietosamente un lumino.

Croci nel vecchio cimitero

Croci nel vecchio cimitero

Croci nel vecchio cimitero

Croci nel vecchio cimitero

Una  Croce in pietra indica l’ultima dimora di Lucia Capobianco, Marchesa di Carife

Una Croce in pietra indica l’ultima dimora di Lucia Capobianco, Marchesa di Carife

2. I PRINCIPALI CROCIFISSI PRESENTI A CARIFE

Nella nostra Chiesa Collegiata sono custoditi anche alcuni altri Crocifissi, molto belli e assai interessanti sotto il profilo artistico. Due hanno l’asta verticale lunga e sono quindi predisposti per essere portati a braccio in processione.
Il più antico e’ sicuramente un Crocifisso ligneo del ‘500, restaurato di recente ed attualmente conservato nella Sacrestia.
Scrive il restauratore nella sua breve e concisa relazione tecnica:
“Il restauro si sta rivelando molto laborioso ma con un pò di pazienza ne sto venendo a capo… la parrucca l’ho smontata: era solo un arricchimento aggiunto nell’ultimo intervento di manutenzione; penso che la croce sia stata aggiunta dopo e che i due manufatti non siano coevi… (notizia non storica)”.

Il Crocifisso del ‘500

Il Crocifisso del ‘500

Un altro bel Crocifisso in cartapesta, datato intorno al 1750, davvero molto espressivo, si trova a sinistra di chi guarda l’altare maggiore. Il restauratore accompagna il suo lavoro con una relazione tecnica, che qui si trascrive integralmente:
“I saggi di pulitura hanno svelato la cromia originale del carnato di tonalità verdastra, ricca di particolari cromatici e plastici: come le varie goccioline minuscole di sangue intorno alla corona e i rilievi in stucco nei margini delle ferite. Nella superficie della croce è riemerso il colore di fondo originale e tracce della vecchia decorazione perimetrale realizzata con foglia argento. Le gambe sono state segate lungo il margine della rottura preesistente in modo tale da poterle consolidare ed ancorarle in modo migliore dal loro interno”.

L’espressivo Crocifisso in cartapesta datato 1750

L’espressivo Crocifisso in cartapesta datato 1750

Particolare del Crocifisso precedente

Particolare del Crocifisso precedente

Nella nostra Chiesa ci sono poi altri due Crocifissi lignei: uno di incerta datazione conservato sempre nella Sacrestia, ed un altro, di fattura austriaca, conservato in canonica.
Il Cristo conservato in canonica è stato donato alla nostra Chiesta dagli eredi del compianto Augusto Forgione, la cui moglie, Roswita Kopplmayr, è appunto di origine austriaca.

Il Cristo ligneo di incerta datazione conservato in sacrestia

Il Cristo ligneo di incerta datazione conservato in sacrestia

Il Cocifisso ligneo austriaco donato dagli eredi di Augusto Forgione

Il Cocifisso ligneo austriaco donato dagli eredi di Augusto Forgione

 

3. LA CROCE SULLA MONTAGNA DI CARIFE

Il Giubileo del 1900 fu il primo ad essere celebrato solennemente in una nuova situazione politica e religiosa: la Chiesa cattolica stava procedendo sulla strada della “cristianizzazione della vita moderna e della modernizzazione della vita cristiana”. La celebrazione di quest’Anno Santo aprì il nuovo secolo e il Papa insistette sul carattere strettamente religioso del Giubileo, la cui preparazione logistica e organizzativa fu sostenuta anche dal Governo italiano.
Il mattino del 24 dicembre 1899, Leone XIII aprì la Porta Santa in San Pietro inaugurando il Giubileo da lui promulgato l’11 maggio 1899 con la bolla Properante ad exitum saeculo. Per suo volere il 31 dicembre 1899 in tutte le chiese del mondo fu celebrata la messa di mezzanotte ed esposto il Santissimo all’adorazione dei fedeli. Per i pellegrini fu creata una rete di case d’ospitalità, mense e convenzioni ferroviarie. Infatti ora i pellegrinaggi sono organizzati e raggiungono spesso il migliaio di persone fruendo del treno. In occasione di questo Giubileo il Pascoli compose La Porta Santa. Durante questo Anno Santo  ci furono sei beatificazioni e due canonizzazioni, quelle di San Giovanni Battista de La Salle e di Santa Rita da Cascia. Il 24 dicembre 1900 il pontefice chiuse la Porta Santa murandola con venti mattoni provenienti da altrettante montagne italiane, dove era stata eretta da un Comitato per Cristo Redentore una statua di Cristo proprio durante quell’anno. La diffusione delle croci inizia con l’Anno Santo 1900, indetto da papa Leone XIII: per ricordare la memoria dell’evento ne vennero issate numerose sulle cime ed alture in varie parti del mondo.
All’Anno Santo del 1900 resero omaggio anche altre montagne d’Italia: monumenti e croci di tutte le fogge e dimensioni sorsero, furono erette o issate un po’ ovunque, sulle cime, sulle alture, sulle vette di tutta l’Italia, ad omaggiare il Redentore, dal Piemonte alla Sicilia.
A questo pressante invito del Pontefice aderì ben volentieri la nostra Comunità: nel 1901, anno successivo alla fine dell’Anno Santo, a quota 870 sul livello del mare, sul Monte che sovrasta il Paese e che oggi porta il nome di Montagna o Serro della Croce, fu collocata una croce di legno su di un basamento in pietra.
Allora la cima di questa montagna era ancora brulla e vi erano solo ginestre. Vi pascolavano centinaia di pecore, capre e mucche ed il pascolo era disciplinato da un apposito regolamento comunale Vedi a tal proposito l’articolo relativo alla “Gestione del demanio comunale”.
A distanza di circa trent’anni la Croce mostrava ormai tutti i segni inesorabili del tempo: il Sig. Orazio Salvatore la ricorda ancora marcescente e sgangherata, con un braccio alto e uno basso, forse anche a causa di un fulmine che l’avrebbe colpita. Questa notizia, sebbene circoli ancora in paese fra gli anziani, non trova tuttavia conferma negli atti.
Negli anni Trenta del secolo scorso , con ogni probabilità dopo il terremoto detto del Vulture, che il 23 luglio colpì pesantemente anche Carife per fortuna senza causare vittime, fu ricostruita la nostra Croce, usando una tecnica costruttiva nuova per quei tempi: il cemento armato. La base della Croce reca la scritta:

JESUS CHRISTUS

HERI ET HODIE

IPSE ET IN SAECULA

1901

“GESU’ CRISTO, IERI E OGGI, ED EGLI ANCHE NEI SECOLI, 1901”

(La bellissima espressione che proclama l’eternità di Gesù Cristo è nella Lettera di San Paolo agli Ebrei – Cap. 13).

LA BENEDIZIONE DEL MONUMENTO ALLA CROCE SULLA MONTAGNA NEL 1930

LA BENEDIZIONE DEL MONUMENTO ALLA CROCE SULLA MONTAGNA NEL 1930

A proposito dell’ennesimo terremoto che il 23 luglio 1930 colpì duramente anche Carife, nel sito web www.protezionecivile.gov.it si legge:

“Terremoto del Vulture 1930″

Data: 23 luglio 1930, ore 1:08Magnitudo: 6.7 (Maw)Intensità epicentrale: X grado (MCS)Vittime: 1.404

“La scossa colpì una vasta area dell’Italia meridionale compresa tra l’Alta Irpinia e la zona del Vulture, coinvolgendo le province di Napoli, Avellino, Benevento, Foggia, Potenza e Salerno. La zona che subì i danni più gravi fu l’Alta Irpinia ed in particolare i centri abitati di Lacedonia, Aquilonia e Villanova, in provincia di Avellino. In provincia di Potenza furono fortemente colpiti i paesi di Rapolla, Barile, Rionero, Atella, Melfi, posti ai piedi del Monte Vulture (Monticchio).
Il territorio interessato dall’evento era caratterizzato, come spesso si osserva nell’Italia centrale e meridionale, da piccoli paesi disseminati sui rilievi, a quote medie superiori ai 600 metri sul livello del mare, mal collegati da rare strade che seguivano tortuosi tracciati lungo le valli.Nonostante questa regione dell’Appennino meridionale, poverissima, fosse stata ripetutamente interessata nel corso dei secoli dagli effetti di alcuni tra i più catastrofici terremoti della storia sismica italiana, nulla era stato fatto per prevenire il rischio legato ai futuri terremoti. Infatti, la causa principale dei gravi danni e delle distruzioni provocate dalla scossa del 23 luglio è da ricercarsi in parte nelle scadenti caratteristiche dei terreni sui quali erano stati edificati i centri abitati – generalmente terreni argillosi e sabbiosi con intercalate lenti di ghiaie – ma soprattutto nella fragilità e nel degrado del patrimonio abitativo, rappresentato da case tirate su sovrapponendo pietre di fiume, legate fra loro da pessima malta o addirittura da fango essiccato. Il terremoto ripropose dunque, in modo drammatico, il problema della prevenzione dalle calamità naturali”.
Non molto dissimile fu quello che accadde in occasione del terribile terremoto del 23 novembre 1980: in cinquant’anni le cose non erano cambiate di molto.
Si può visionare un interessante e prezioso filmato d’epoca sui danni prodotti a Carife da quel terremoto collegandosi al sito dell’Istituto “Luce”, naturalmente registrandosi e digitando “Terremoto del Vulture”.
La ricostruzione qui a Carife, come anche negli altri paesi colpiti, iniziò proprio nel 1930 (Anno VIII dell’era fascista”) dalla realizzazione delle famose “Casette asismiche”, ricoveri che dovevano essere “provvisori” ma che sono ancora in piedi.
Si lavorò alacremente e gli inerti furono estratti in uno “sterro”, una sorta di cava, aperta subito dopo la fontana delle “Fontanelle”, fatta costruire nel 1904 dal sindaco dell’epoca, il Dott. Paolo Salvatore.

Il “Distintivo” delle Casette asismiche di Carife

Il “Distintivo” delle Casette asismiche di Carife

1930: Si lavora per la costruzione delle “Casette asismiche”

1930: Si lavora per la costruzione delle “Casette asismiche”

CARIFE: In primo piano le Casette

CARIFE: In primo piano le Casette

La Carife di una volta…

La Carife di una volta…

Gli inerti che furono utilizzati per la costruzione delle Casette asismiche furono scavati a mano e trasportati a dorso di asino e di muli, allora assai numerosi nel nostro paese.
Si utilizzò in prevalenza manodopera locale, ma non mancarono maestranze che venivano da fuori. Si lavorò sodo e le “Casette” furono pronte in pochissimo tempo.
In questo clima nacque l’idea di ricostruire sulla Montagna omonima una Croce più solida.

La Croce sulla Montagna di Carife in una antica cartolina

La Croce sulla Montagna di Carife in una antica cartolina

Il monumento, sempre stando alla testimonianza di Orazio Salvatore, fu eretto dal muratore Paolo Melchionna, figlio di Antonio soprannominato “Cuscienza”, per la meticolosità e la serietà che vantava di usare nell’esecuzione dei lavori, che, come in tutti i dopo terremoti, di certo non mancavano.
Paolo Melchionna, nato il 30 marzo 1908 da Antonio e da Nicolina Infante, sposò a Carife in data 13 marzo 1927 Maria Raffaela Santoro; aveva anche altri fratelli (Rocco, Giuseppe e Giovanni), che facevano il suo stesso mestiere di muratori (“li mastr’ frabbr’catur’”) e avevano un nugolo di discepoli o apprendisti che da essi appresero i rudimenti del mestiere (Scev’n’ a lu muastr’).
Paolo Melchionna diventò anche piccolo imprenditore edile o “appaltatore”.
La benedizione al nuovo monumento alla Croce, che era ancora in cassaforma, come si evince dalla foto precedente, fu impartita dall’Abate Prof. Rocco Paolo Salvatore.
Alla cerimonia furono presenti il Podestà del Comune e un giovanissimo Don Vincenzo Tedeschi, poi a lungo Abate di Carife. (Don Vincenzo nacque il 3 maggio 1905 e morì a Carife il giorno 1° aprile 1996).
Come si può evincere sempre dalla foto, allora la cima di questa montagna era ancora piuttosto brulla e vi erano solo ginestre.
L’Abate Rocco Paolo Salvatore nacque a Carife, in Strada Largo della Grancia, il 5 Agosto 1866 da Giovanni, figlio di Onofrio, di anni 40 e da Maria Salvatore di Vito, anch’essa di anni 40. Era cugino del Dr. Paolo Salvatore. Fu anche valentissimo Professore di Lettere e per più anni anche consigliere comunale.
Qualcuno tra gli anziani ricorda che in Chiesa era molto severo ed intransigente, specialmente nel volere che le donne sedessero tra i banchi separate dagli uomini e a capo coperto.
Nel corso del suo apostolato abbellì ed arricchì notevolmente la nostra Collegiata. In particolare, nel corso del 1933, fece costruire nella Chiesa di San Giovanni Battista, anche con una sottoscrizione pubblica, ben tre altari assai simili, opera evidentemente dello stesso artigiano: l’altare di Sant’Antonio, quello di San Francesco, quello della Cappella del Santissimo e del Rosario e come abbiamo visto in precedenza, anche il monumento della Croce nel vecchio cimitero comunale.
Abate sempre lui nel 1931, l’anno successivo al terremoto del 23 Luglio 1930, meglio conosciuto come Terremoto del Vulture, furono anche iniziati, abusivamente e su suolo pubblico, i lavori di ricostruzione della Casa Canonica di Carife, per la cui sanatoria intervenne ripetutamente anche la Santa Sede.
L’Abate Rocco Paolo Salvatore morì il 10 Marzo 1947 e divenne Abate Vicario Don Angelo Maria Mirra.
Nel 1948 diventò Abate Don Vincenzo Tedeschi.
Molti hanno riferito anche una curiosità: quando l’Abate Salvatore stava per arrivare in Chiesa era preceduto sempre da un suo affezionatissimo cagnolino: i fedeli in attesa, vedendo sopraggiungere il cagnolino, si zittivano immediatamente…

LA CROCE CHE SOVRASTA, DOMINA, ABBRACCIA E PROTEGGE CARIFE

LA CROCE CHE SOVRASTA, DOMINA, ABBRACCIA E PROTEGGE CARIFE

LA CROCE CHE DOMINA CARIFE OGGI

LA CROCE CHE DOMINA CARIFE OGGI

Recentemente la scritta è stata ricalcata dal nostro concittadino Vincenzo Di Palma, che vive a Roma.

VINCENZO DI PALMA ALL’OPERA AI PIEDI DELLA CROCE

VINCENZO DI PALMA ALL’OPERA AI PIEDI DELLA CROCE

LA CROCE SULLA MONTAGNA DI CARIFE VISTA DA PIAZZA S. GIOVANNI

LA CROCE SULLA MONTAGNA DI CARIFE VISTA DA PIAZZA S. GIOVANNI

LA PIAZZA DI UNA VOLTA

LA PIAZZA DI UNA VOLTA

SI PORTA A BENEDIRE LA CORONA DEL IV NOVEMBRE (la gente era tanta…)

SI PORTA A BENEDIRE LA CORONA DEL IV NOVEMBRE (la gente era tanta…)

 

4. L’ESCURSIONE DEL 3 MAGGIO

Subito dopo il disastroso terremoto, che il 23 novembre 1980 sconquassò il nostro paese, causando morte e distruzione, grazie anche a molti volontari ed esponenti della Caritas, che qui vennero ad offrire una mano e la loro collaborazione, fu avviato un lento processo di recupero di quel minimo di socialità, volto soprattutto a sconfiggere la paura presente in tutti i noi.
Si favorì il recupero delle vecchie abitudini e, soprattutto, si fece di tutto per favorire l’aggregazione o la riaggregazione dei cittadini, in un momento in cui anche la coscienza sociale sembrava essere stata “terremotata”. Suor Giacinta, che tutti ricordano ancora con grande affetto, Don Zu, Don Peppino di Lodi e tanti altri della Caritas, che si avvicendarono a Carife nei mesi e negli anni successivi al terremoto, si diedero un gran da fare per creare e favorire momenti di aggregazione. Il Paese era rimasto senza chiese e le attività religiose erano riprese in una cappella/baracca costruita in fretta e furia davanti all’edificio scolastico delle scuole elementari di Via Sant’Anna, dove nel frattempo si erano “accampati” anche Amministratori e dipendenti comunali.
Da subito si ripristinò la consuetudine di salire, il 3 maggio, sulla Montagna della Croce, nel giorno della sua festa, per far visita al monumento ad essa eretto a quota 870 metri sul livello del mare.
Inizialmente si percorreva la strada sterrata che costeggia il Palazzo Marchesale e in tempi più recenti anche il Sentiero Croce, disegnato dal Comune in collaborazione con il CAI (Club Alpino Italiano) e che si dirigeva dal paese verso il serbatoio dell’acqua.
Il sentiero, prima che le vacche e qualche altro la distruggessero, era fiancheggiato da una bella palizzata/balaustra costituita da paletti di castagno, ai quali ci si appoggiava quasi fosse un passamano o una ringhiera.
Da allora gruppi sempre più numerosi di ragazzi, ma anche di adulti, si incamminavano festosamente e gioiosamente verso la cima della montagna, dove troneggia la Croce eretta nel 1901, e superavano di gran lena il notevole dislivello. Alcuni si disperdevano fra i cespugli in cerca dei saporitissimi asparagi selvatici per farne saporitissime frittate.
Si arrivava ansimanti in cima e si guardava verso il paese e la valle: uno spettacolo assolutamente meraviglioso, che ti allarga il cuore e la mente.
Una volta in cima ci si raccoglieva intorno al monumento alla Croce, si leggeva la scritta in latino e, sebbene fosse comprensibilissima, c’era sempre qualcuno che chiedeva spiegazioni ai più esperti.
Talora veniva celebrata anche la Santa Messa o si recitava il Rosario. Alla fine, dopo un bellissimo pomeriggio passato insieme in allegria, stanchi ma felici, si scendeva tutti verso il paese e qualcuno mostrava orgogliosamente un bel mazzetto di asparagi.
Questa felice usanza perdura anche oggi, a distanza di anni, anche se, per il vistoso calo della popolazione di Carife, i ragazzi sono sempre di meno e gli adulti non sempre hanno il coraggio di affrontare una salita che, nonostante la sua brevità, è pur sempre faticosa e scoraggiante per gli anziani: non mancano però le eccezioni e le piacevoli sorprese.
Qui di seguito riportiamo una serie di foto di “gruppo” ai piedi della Croce sulla Montagna.

IL RIONE FOSSI VISTO DALLA CROCE

IL RIONE FOSSI VISTO DALLA CROCE

UN BEL GRUPPO DI “ESCURSIONISTI”

UN BEL GRUPPO DI “ESCURSIONISTI”

(In primo piano al centro, seduti, Michele Giannattasio e Angiolina Salvatore)

GRUPPI DI CARIFANI DAVANTI ALLA CROCE

GRUPPI DI CARIFANI DAVANTI ALLA CROCE

I RAGAZZI SONO SEMPRE PRESENTI

I RAGAZZI SONO SEMPRE PRESENTI

3 MAGGIO 1915
3 MAGGIO 1915

5. LE PROCESSIONI DI SAN ROCCO E DEL  LEGNO SANTO DELLA CROCE

La solenne processione della Reliquia della Santa Croce a Carife era famosa in tutta la Baronia: molti fedeli accorrevano il 3 maggio, per parteciparvi devotamente, anche dai paesi limitrofi.
Molti naturalmente venivano a Carife per la fiera, dove avrebbero comprato magari il maialino da crescere ed ammazzare per i bisogni della famiglia o i biscottini con il cacao (“Li tatun”), le noccioline americane, i grossi taralli con lo zucchero e i piccoli torroni (“La cupeta”).
Ad interrompere, ogni tanto, la monotonia dei consueti e faticosi lavori nei campi e a dare un poco di riposo per volta, a portare qualche cosa di diverso dal solito, in un’atmosfera più serena e distesa nel paese, erano le varie feste religiose che cadenzavano l’anno: Natale, Capodanno, Pasqua, La Santa Croce, San Giovanni (Santo Patrono di Carife), San Lorenzo (II Santo Patrono), San Rocco e Madonna Addolorata.
Tutti noi ragazzi, sottraendo qualche soldino (ne circolavano davvero pochi) alle nostre piccole disponibilità, lo mettevamo da parte per consumarlo in occasione delle feste religiose. La stessa cosa facevano ovviamente anche i contadini e gli artigiani.
Durante le festività si effettuano delle processioni alle quali tutti partecipavano e costituivano un grande avvenimento per tutti. Partecipavano alla festa bande musicali famose (Gioia del Colle, Squinzano, Acqua Viva delle Fonti, ecc.), il paese era pieno di bancarelle e di venditori ambulanti, che offrivano le loro mercanzie, e soprattutto dolciumi a grandi e piccini; illuminazioni policrome, un passeggio più animato ed allegro del solito contraddistinguevano la festa: nascevano amicizie ed amori e si facevano nuove conoscenze, facendo giri sulle giostre o consumando un gelato artigianale.
Quasi tutte le feste si concludevano con i fuochi pirotecnici.
Fin dal mattino in paese c’era una strana animazione: si indossava il vestito della festa, che per molti era quello indossato il giorno del matrimonio (solitamente durava una vita intera), ci si preparava alla processione chiacchierando e scambiando impressioni sulla festa.
Le donne si alzavano di buon mattino e rimanevano in casa, alle prese con la cucina e preparavano il pranzo della festa: pasta fatta in casa e sugo con il pollo o l’agnello, il cui profumo riempiva le viuzze del paese e faceva venire l’acquolina in bocca.
Esse raggiungevano la Piazza e la Chiesa quando il suono della campana annunciava la Messa, alla fine della quale erano sempre numerose le persone che volevano portare a spalla in processione il Santo, specialmente in occasione della festa di San Rocco, che era certamente la più sentita dalla popolazione di Carife.

STATUA DI SAN ROCCO VENERATA A CARIFE

STATUA DI SAN ROCCO VENERATA A CARIFE

 

I “MEZZETTI”

A Carife la devozione e la venerazione nei confronti di San Rocco, come anche nei paesi vicini, è enorme: molti ritornano in paese da lontano proprio per la festa e seguono la processione scalzi, invocando la protezione del Santo. Una volta molte più donne precedevano la processione, reggendo sulla testa un pesante “mezzetto” colmo di grano e addobbato come un trofeo, con nastri, trine, veli, collane, luci variopinte e l’immancabile figura del Santo. Per abbellirlo ed impreziosirlo, venivano utilizzate anche coperte lavorate all’uncinetto in maniera artigianale. Conteneva il grano che si intendeva donare a San Rocco per ringraziarlo della protezione ricevuta o per chiedere una grazia. Spesso le donne si avvicendavano nel trasporto del “mezzetto”, perché era pesante. Talora era solo un simbolo dell’offerta che si intendeva fare e conteneva pochi chili di grano, collocato su un’ imbottitura interna del “mezzetto”.
Altri, più benestanti, precedevano la processione portando a dorso di mulo o di asino una “sarma” di grano, circa un quintale, ricoperta con la solita coperta all’uncinetto. In seguito diminuirono fino a scomparire del tutto i muli e gli asini, e con essi i “mezzetti”, e si inserirono i trattori agricoli, creando qualche pericolo di troppo.
Da un po’ di tempo i “mastri di festa” (Comitato) cercano di incoraggiare il ritorno al “mezzetto”, sicuramente più consono alla tradizione: già se ne vedono parecchi, osservati con una certa curiosità soprattutto dai più giovani.
Esistono, nei paesi vicini, altre forme di devozione quali, ad esempio, il bel “carro” o “giglio” di Flumeri, un artistico obelisco fatto con il grano, sicuramente più elaborato e famoso. Dei “mezzetti “di Carife però non abbiamo confronti altrove.
Il “mezzetto” (“lu mezzett”) era un antico strumento o unità di misura , sia del terreno che di derrate alimentari, quali grano, granone, orzo, avena, olive, ecc). Quello utilizzato come unità di misura per derrate era un recipiente a forma cilindrica (molto spesso a tronco di cono): Era costituito da doghe di legno tenute insieme da cerchi leggeri in ferro e conteneva, colmo e rasato, circa 20 Kg di grano. Esistevano anche multipli e sottomultipli: il “tomolo” ( in dialetto “lu tumml”) conteneva due “mezzetti”. C’era poi la “misura”, che conteneva due Kg di grano e il “quarto”, equivalente a metà “mezzetto”. La “sarma”, quanto poteva portare un mulo, era l’equivalente di 100 Kg, come detto in precedenza.
Nella misurazione agraria carifana invece il “mezzetto” era equivalente a circa 1.666 metri quadrati, la metà del “tomolo” (3333 metri quadrati). C’erano poi la ” misura” (circa 138 metri quadrati), equivalente alla dodicesima parte del “mezzetto” e il “quarto” , equivalente a sei misure di terra. Il “sacco” (in dialetto “lu suacc”) era l’equivalente di un ettaro, costituito da tre “tomoli”.
Tali unità di misura, ancora oggi utilizzate nelle conversazioni e nei riferimenti degli anziani, rimasero in vigore fino al 1885, anno in cui si decise di unificare le misure, non solo a livello italiano.

IL MEZZETTO CON LA RASATORA  (LU M’ZZETT’ CU LA VARRA)

IL MEZZETTO CON LA RASATORA (LU M’ZZETT’ CU LA VARRA)

PROCESSIONE SAN ROCCO CON IL PARROCO  DON VINCENZO TEDESCHI

PROCESSIONE SAN ROCCO CON IL PARROCO DON VINCENZO TEDESCHI

PROCESSIONE ANNI ’70: Al centro, davanti alla statua, Domenico De Angelis

PROCESSIONE ANNI ’70: Al centro, davanti alla statua, Domenico De Angelis

 

PROCESSIONE ANNO 1975:  SAN ROCCO E I MEZZETTI (IN PRIMO PIANO DOMENICO DE ANGELIS E IL FIGLIO, DETTO “NEGUS”)

PROCESSIONE ANNO 1975: SAN ROCCO E I MEZZETTI
(IN PRIMO PIANO DOMENICO DE ANGELIS E IL FIGLIO, DETTO “NEGUS”)

PROCESSIONE DI SAN ROCCO DEL 1986

PROCESSIONE DI SAN ROCCO DEL 1986

Molti compaesani, emigrati in varie parti dell’Italia e del mondo, ritornavano e ritornano ancora oggi a Carife proprio in occasione della festa di San Rocco, per dimostrare la propria fede e la propria devozione al Santo. Spesso, in passato, ritornavano appositamente anche per partecipare all’asta, che aggiudicava ai vincitori il diritto di trasportare la statua a spalla, per le vie del paese.
L’asta era disciplinata dall’accensione di un cerino, che, una volta esaurito, stabiliva il gruppo aggiudicatario. Solo più tardi il cerino fu sostituito da un più moderno cronometro, messo in mano ad un rappresentante delle forze dell’ordine. Comunque non sono mancate per il passato le discussioni, soprattutto tra i sostenitori dell’uno o dell’altro gruppo.
I gruppi che partecipavano all’asta erano solitamente due e spesso erano costituiti da più persone (giovani ed anziani) rivali, anche per questioni politiche: raccoglievano una somma di denaro, a volte anche consistente, e designavano un portavoce che rilanciava le offerte per l’asta. I soldi venivano consegnati poi al comitato festa. Ovviamente risultava aggiudicatario il maggior offerente. Oggi l’asta non si fa più e qualcuno rimpiange ancora il tempo in cui si faceva.
Tra i più accaniti partecipanti a questo importante avvenimento mi piace ricordare l’amico Enzo De Angelis (Scr’vall’), recentemente scomparso, che tornava dagli Stati Uniti dove è deceduto, Natalino Lo Russo da Roma, Michele Pezzano (“P’zzaniedd’”) da Pomezia, Michele Di Palma (Z’pp’tiedd) da Roma ed il cognato Michele Famiglietti (“De Gasperi”), anche lui passato a miglior vita.
A volte si intrufolava e si intrometteva anche la politica con le sue inevitabili e frequenti rivalità… e le cose si complicavano non poco: le aste salivano… con grande gioia dei “Mastri di Festa”, che potevano impinguare anche notevolmente la colletta della questua.
Le donne a volte, per voto fatto, seguivano il Santo scalze.
Molti di noi hanno forse ancora negli orecchi i fragorosi botti dei “mortaretti” preparati con grande maestria da ROCCO MICCIOLO (MAST’ ROCC’ LU SPARATOR’) e accesi sul “passetto” della piazza durante la processione, mentre noi ragazzi mangiavamo fette di cocomero, sgranocchiavamo noccioline americane o gustavamo nei coni i gustosissimi gelati preparati e venduti, in forma ambulante, dalle figlie di “Ngiulina La Penta” e Lorenzo Loffa ( “Z’ Larienz’ Cazzullo”).
Più tardi il fuochista fu Alfredo Zufolo, detto “Zuf’lett”, famoso per le sue micidiali batterie.

Alfredo Zufolo (Zufulett’)

Alfredo Zufolo (Zufulett’)

La processione di San Rocco al “Ponte”. In primo piano a sinistra Gaetano Salvatore

La processione di San Rocco al “Ponte”. In primo piano a sinistra Gaetano Salvatore

La processione di San Rocco nei pressi del Palazzo con una lunghissima fila di mezzetti

La processione di San Rocco nei pressi del Palazzo con una lunghissima fila di mezzetti

 

6. LA FESTA DELLA CROCE E LA SOLENNE PROCESSIONE DEL 3 MAGGIO

La festa della Croce,era di patronato dell’Amministrazione comunale, che vi partecipava ufficialmente e dava al Comitato il suo contributo economico.
Ida Bianco ricorda ancora che il Comune metteva a disposizione del Comitato o un contributo di 300 lire, previsto nel bilancio annuale, e al Sindaco era concesso il privilegio di reggere l’ombrello sulla reliquia e, ovviamente, sul sacerdote che portava in processione il Legno Santo.
La processione percorreva solennemente le vie di tutto il paese, accompagnata da una folla straripante e devota, che nella Croce e nella sua preziosa Reliquia cercava e riponeva la speranza, in un momento in cui la popolazione era alle prese con carestie, malattie ed emigrazione.

Processione del Legno Santo del 3 maggio 1981

Processione del Legno Santo del 3 maggio 1981

LA PROCESSIONE DEL 1981 CON L’ABATE DON VINCENZO TEDESCHI

LA PROCESSIONE DEL 1981 CON L’ABATE DON VINCENZO TEDESCHI

PROCESSIONE DEL 1987 SEMPRE CON DON VINCENZO TEDESCHI

PROCESSIONE DEL 1987 SEMPRE CON DON VINCENZO TEDESCHI

PROCESSIONE DEL 1988 CON DON VITO TEDESCHI

PROCESSIONE DEL 1988 CON DON VITO TEDESCHI

 

La processione del 3 maggio 2015 con Padre Riccardo Fabiano e Don Daniele Palumbo

La processione del 3 maggio 2015 con Padre Riccardo Fabiano e Don Daniele Palumbo

 

LE CROCI IN PIETRA DELLA BARONIA

Nei paesi della Baronia non mancano i monumenti eretti in onore della Santa Croce, verso la quale la devozione è stata sempre grandissima.
Offriamo una serie di foto riproducenti, nell’ordine, i monumenti eretti in Caste Baronia, San Nicola Baronia e San Sossio Baronia.

CASTEL BARONIA: MONUMENTO DELLA CROCE

CASTEL BARONIA: MONUMENTO DELLA CROCE

Lo stemma civico di Castel Baronia sul Monumento della Croce

Lo stemma civico di Castel Baronia sul Monumento della Croce

ISCRIZIONE: “E’ STATA ERETTA IN ONORE DI DIO E PER DEVOZIONE DEL POPOLO A.D. 1595”

ISCRIZIONE: “E’ STATA ERETTA IN ONORE DI DIO E PER DEVOZIONE DEL POPOLO A.D. 1595”

1894: La data del restauro

1894: La data del restauro

MONUMENTO DELLA ROCE DI SAN NICOLA BARONIA CON DATA DEL RESTAURO: 1994

MONUMENTO DELLA ROCE DI SAN NICOLA BARONIA CON DATA DEL RESTAURO: 1994

ISCRIZIONE: “FU ERETTA A ONORE DI DIO IL GIORNO 31 MARZO 1599”

ISCRIZIONE: “FU ERETTA A ONORE DI DIO IL GIORNO 31 MARZO 1599”

SAN SOSSIO BARONIA: IL MONUMENTO ALLA CROCE

SAN SOSSIO BARONIA: IL MONUMENTO ALLA CROCE

PARTICOLARE CON DATA A. D. 1611 E STEMMA DELLA FAMIGLIA DEI LOFFREDO

PARTICOLARE CON DATA A. D. 1611 E STEMMA DELLA FAMIGLIA DEI LOFFREDO

 Su uno dei lati è scolpita la figura di San Sossio, protettore del paese. Si racconta che le quattro figure di angeli, scolpite sugli angoli, furono decapitate dal brigante Schiavone, che se la intendeva con una donna del luogo. La testimonianza si trova nei documenti redatti nel 1863 dal “Giudice Regio di Montecalvo Irpino”, che processò il brigante e la sua convivente, tale Filomena Pennacchio. Il Brigantaggio era molto diffuso nella nostra zona e si acuì ulteriormente dopo l’unità d’Italia: ci vollero molti anni per sconfiggerlo e addirittura l’esercito.