Vie di Comunicazione

LE VIE DI COMUNICAZIONE NELL’IRPINIA ANTICA

Nella mia tesi di laurea sulla storia degli Hirpini un capitolo era dedicato alle vie dell’antica Irpinia e compendiava ciò che gli studiosi antichi e moderni avevano scritto su questo argomento fino agli anni Settanta del secolo scorso.
Tre erano le strade principali ed importanti che attraversavano il territorio degli Hirpini. Le troviamo citate da Strabone (1), il quale dice a questo proposito che a chi giungeva a Brindisi dalla Grecia e dall’Asia si offrivano due itinerari diversi per portarsi fino a Roma: la prima era la via sulla quale potevano transitare i muli e si dirigeva a Benevento attraverso I Peucezi, i Dauni e i Sanniti. Strabone elenca anche le città che si incontravano facendo questo percorso e cioè Gnathia (Egnazia), Celia, Netium (Giovinazzo), Canusium (Canosa), Herdonia (Ordona). La seconda via andava verso Taranto e piegava leggermente a sinistra, allungando il viaggio da Brindisi a Roma di un giorno. Questa via era maggiormente adatta ai carri, e dicendo Strabone maggiormente significava che anche l’altra lo era, anche se in misura più ridotta. Era questa l’Appia e le città che incontrava sul suo cammino, sempre a detta di Strabone, erano Uria/Hyria (Oria, tra Taranto e Brindisi), e Venusia (Venosa, in provincia di Potenza nell’area del Vulture), al confine dei Sanniti e dei Lucani. Le due strade, dice poi Strabone, confluivano a Beneventum, dove si univano e col nome di Appia, per Caudium (Montesarchio), Calatium (Maddaloni?), Capuam…portavano fino a Roma.
Strabone indica in 360 mila passi la distanza da Brindisi a Roma ed è di poco inferiore a quella degli Itinerari, che la indicano invece in 366 mila passi.
La terza via descritta da Strabone è quella che da Reggio portava a Capua e quindi con l’Appia a Roma. Essa attraversava i Bruzii, i Lucani, il territorio dei Samnites, tra i quali giungeva dopo aver valicato gli Appennini.
E’ chiaro che per Sanniti qui bisogna intendere Hirpini, dal momento che, come abbiamo visto, diverse volte Strabone non fa distinzioni tra le due popolazioni. Secondo il geografo questo tragitto era di tre o quattro giorni, più lungo dei due occorrenti da Brindisi. Tra queste tre strade c’erano poi evidentemente anche altri tratti secondari.
La strada sicuramente più importante per la regione degli Hirpini era l’Appia, “percorsa dagli eserciti e dai grossi commerci” (2) e, aggiungeremmo noi, anche da poeti, scrittori, filosofi ed artisti che andavano e venivano tra Roma e la Grecia. Le altre due vie di cui parla Strabone erano sicuramente più marginali rispetto al territorio irpino.
Il tratto Capua-Beneventum-Brundisium fu un prolungamento che ancora non è datato con sicurezza. Si ipotizza che fu costruito al tempo della guerra civile tra Cesare e Pompeo (3). Questa affermazione sembra essere avvalorata da due testimonianze per altro non accertate: una di Cicerone (4) ed una di Orazio (5), il quale ultimo fece il viaggio insieme a Virgilio, Mecenate ed altri amici di Roma su questo tratto.

NOTE:
STRABONE, VI, 3, 7 = C 282;
G. LUGLI, Convegno Studi Magna Grecia, Taranto 1962, pag. 25;
Cfr. E. DE RUGGIERO, Dizionario Epigrafico, Roma 1961, sub voce Appia;
CICERONE, Ad Atticum, 8, 11;
ORAZIO, Satire I, 5.
Cicerone, facendo riferimento ad un viaggio da fare “quam celerrime” (il più velocemente possibile) lungo la via Appia, poteva riferirsi benissimo al tratto fino a Capua, trovandosi egli ad Aeclanum, in territorio irpino. Nel caso di Orazio invece è indubitato, almeno dai più, che quel viaggio, dopo Beneventum, ebbe luogo sulla via che poi si disse Traiana e che appunto a Benevento si diramava dall’Appia e giungeva pure fino a Brindisi (1): Fino a Beneventum il suo percorso è ben definibile e forse lo è anche fino ad Aeclanum (Passo di Mirabella Eclano), dove giungeva dopo essere passata da Nuceriola. Di questo percorso abbiamo diverse testimonianze, grazie a reperti archeologici tutti enumerati dal Maiuri (2).
In tutto sono sei documenti epigrafici. Abbiamo infatti due cippi con testo uguale, ma senza l’indicazione del miglio, rinvenuti presso il Passo di Mirabella e cioè nell’area stessa di Aeclanum (3). Abbiamo poi un cippo con l’indicazione del miglio CLXXII da Roma e VIII da Beneventum, che dice chiaramente di appartenere all’Appia (4); un frammento mutilo e infine un altro cippo rinvenuto a Benevento con l’indicazione CLXXIIII da Roma, X da Beneventum, e con esso l’Appia raggiungeva, secondo gli Itinerari, il ponte sul fiume Calor (Calore), ponte di cui sono ancora visibili i resti e conserva il nome di Ponte Appiano. Su questo tratto ci sono anche testimonianze, una delle quali trovata al Passo di Mirabella, di restauri compiuti da imperatori romani, come quello portato a termine da Adriano, da Beneventum ad Aeclanum (5). La distanza tra queste due ultime località era di XV miglia e ciò spiegherebbe anche il nome di Quintodecimo, dato ad Aeclanum in epoca successiva.
Sul percorso tenuto dall’Appia da Aeclanum al Pontem Aufidi (5) esistono molte divergenze (6). Ciò è dovuto al fatto che in tutta la zona che corre tra queste due località ancora non è venuto fuori alcun indizio archeologico. Ma oggi gli indizi ci sono e come…
La direzione dell’Appia su questo tratto resta fissata solo dagli Itinerari, che la fanno passare per Sub Romula, una città “circa la quale nulla può ancora dirsi sulla sua precisa ubicazione” (7).
Neanche le notizie di Orazio possono venirci in aiuto, in quanto non è stabilito con certezza il percorso da lui seguito. Mommsen dice che Orazio lasciò l’Appia a Beneventum, e seguendo una scorciatoia erta e montuosa che lo portò nei pressi di Trivicum, raggiunse a Canosa nuovamente il tracciato della via Traiana (8). Sempre secondo il Mommsen l’Appia nell’età repubblicana e nei primi tempi di Augusto aveva un percorso molto più breve ed anche più difficile e solo successivamente, al tempo di Adriano (Imperatore dal 117 al 138 d. C.), fu fatta passare per Aeclanum, che nel frattempo era diventata una città assai importante. Questa strada si dirigeva, attraverso la Valle dell’Ufita, a Trevico per poi ridiscendere nel Calaggio.

NOTE:
Cfr. STRABONE, VI, 3, 7 = C 282;
A. MAIURI, Notizie degli Scavi, 1929, pag. 221;
CIL, IX, 6075;
CIL IX, 6072;
CIL IX, 6075;
Cfr. G. LUGLI, Convegno studi di Magna Grecia, Taranto 1962, pag. 26;
G. O. ONORATO, op. cit., pag. 32;
Cfr. MOMMSEN, Art. cit., Pag. 4 e G. LUGLI, Osservazioni sulle stazioni della Via Appia antica da Roma ad Otranto, 1952.
Quasi certamente fu questa la strada percorsa da Orazio, altrimenti non avrebbe parlato di monti che non si incontrano seguendo qualsiasi altro percorso nelle vicinanze di Trevico (1).
Secondo il Lugli (2) l’Appia si biforcava ad Aeclanum ed un tratto andava verso Frigento e la Mefite, verso Sud-Est, proseguendo poi per l’altipiano del Formicoso e per Bisaccia e Lacedonia scendeva al Pontem Aufidi (Ponte di Santa Venere) (3); l’altro ramo invece si sarebbe inerpicato lungo i contrafforti di Trivicum ad Est e, seguendo il crinale, ridiscendeva a valle nel Calaggio. Siamo però nel campo delle ipotesi, mancando indizi sicuri.
Alla pagina n. 87 della mia più volte citata tesi di laurea scrivevo:“Lungo una delle caratteristiche “Serre” al confine tra Carife e Castel Baronia, paesi ubicati a Su-Ovest sotto Trevico, e precisamente lungo la Serra di Marco, si verificano continui ritrovamenti che risalgono all’epoca dei Sanniti, come tombe costruite con grossi blocchi di materiale travertinoso, con tegoloni o a fossa terragna semplice, contenenti vari tipi di vasi, tombe e monete di epoca romana, iscrizioni sepolcrali (4) che nominano solo delle persone. Questa Serra è percorsa da una strada fiancheggiata da siepi (ancora oggi chiamata “tratturo”, n. d. r.) dall’andamento caratteristico a larghe volute; essa poteva anche non essere pavimentata, come quella verso Canosa che Orazio descrive come resa più malagevole dalle frequenti piogge (5). La strada termina sotto un monte che ancora oggi si chiama Rumulo e che ha fatto pensare al Mommsen (6) essere pertinente a Romulea e al De Ruggiero (7) ha fatto identificare Carife con Sub Romula. Potrebbe proprio essere questa la strada seguita da Orazio, ma siamo anche in questo caso nel campo delle ipotesi, non essendoci altri elementi a rafforzare la tesi e non essendo stato studiato più a fondo il problema dal punto di vista archeologico”.
Dopo il “Pons Aufidi” l’Appia usciva dal territorio irpino per dirigersi a Melfi e di lì a Venosa.
Diciamo ora qualcosa sulla via Traiana, che quando fu fatta relegò in secondo piano il tratto irpino dell’Appia (8), e cioè quello da Aeclanum in poi. La Traiana, che può essere considerata una vera e propria “variante dell’Appia” (9), si dirigeva da Beneventum verso Aequum Tuticum, fra il territorio irpino e quello pentro, attraversando una zona abbastanza difficile, franosa e collinosa. Tra Beneventum ed Aequum Tuticum, e precisamente a Buonalbergo, è stata ritrovata una pietra miliare appartenente a questa strada (10).
Essa riporta che Traiano ha fatto costruire a sue spese una via da Beneventum a Brundisium. Un altro cippo, sempre appartenente a questa strada, è stato ritrovato a S. Eleuterio, frazione a Sud di Castelfranco in Miscano, cioè sul sito stesso di Aequum Tuticum.

NOTE:
Cfr. HEINRICH NISSEN, Italische Landeskunde, Berlino, 1883-1902, pag. 819;
G. LUGLI, Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1962, pag. 26;
Cfr. H. NISSEN, op. cit., pag. 820;
C.I.L., IX, 1412, 1413;
Orazio, Satire, I, V, 95;
C.I.L., IX, pag. 121;
De Ruggiero, Dizionario Epigrafico, sotto le voci Appia e Romulea.
MOMMSEN, art. cit., pag. 8;
F. CASTAGNO, Appia antica, Milano 1956, pag. 7;
C.I.L., IX, 6003.
Il testo è uguale a quello della pietra precedente, ma manca il numero indicante il miglio (1). La via Traiana, poi, proseguiva verso levante, e, attraversando la valle del Calaggio, dove ancora rimane un ponte, andava verso Ausculum (Ascoli Satriano), dove si sono rinvenute altre pietre miliari sempre relative a questa strada.
Abbiamo detto che la costruzione della Traiana isolò quasi del tutto Aeclanum dall’Apulia, perché il tratto dell’Appia da questa città in poi rimase quasi abbandonata. Per ovviare a questo inconveniente gli Eclanesi chiesero ed ottennero di costruire un tratto d’unione fra l’Appia e la Traiana. Infatti in un’iscrizione (2) si parla di una “via ducente Herdoniam”, per costruire la quale gli Eclanesi chiedono il permesso all’imperatore Adriano. Era quindi una strada municipale che possiamo considerare una vicinale della Traiana e che solo più tardi diventò pubblica col nome di Aurelia Eclanensis, come si rileva da un’iscrizione proveniente dalla Dacia (3). Non sappiamo quale fosse il suo percorso. Abbiamo solo un cippo (4) che, portando la dicitura M.P. III, ed essendo stato trovato a Grottaminarda che si trova a circa quattro Km. da Aeclanum, non potendosi riferire alla via Herculea della quale parleremo tra breve, perché troppo lontana da Aeclanum, e nemmeno all’Appia, dal momento che le sue miglia si contano da Benevento, viene riferito all’Aurelia Aeclanensis.
Il Lugli la fa passare per Trivicus ed Ausculum (4).
La terza via di cui parla Strabone era quella che da Reggio portava a Capua. Fino a Nola e Nuceria essa non interessava il territorio irpino. Anche questa strada si biforcava; l’Itinerarium Antonini riporta infatti una “statio ad flumen Sabatum”. Polibio e Strabone affermano che essa attraversava anche il territorio dei Sanniti (5). Essa quindi doveva passare per Abellinum. Infatti se questa strada passava per Nuceria, l’unico punto in cui la catena del Terminio e del Partenio subiscono una frattura, rendendo possibile il passaggio, è proprio ad Est di Nuceria e cioè nella conca di Avellino. Certamente l’altra diramazione passava proprio per Abellinum e si dirigeva a Beneventum attraverso la valle del fiume Sabatus (Sabato).
Rimane ora da parlare della quinta via dell’Irpinia che noi conosciamo e cioè della via Erculia. Dallo stesso nome di Erculia dato a questa via dalle iscrizioni (6) si deduce che essa fu fatta costruire sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano Erculio, non essendo stata ritrovata nessun’altra pietra miliare riguardante altri imperatori precedenti a Diocleziano (7). Presso gli autori non troviamo menzioni di questa via, che da Aequum Tuticum portava in Lucania. Si sono trovate iscrizioni che la riguardano presso Ariano Irpino (8), presso Zungoli a Sud-Est di Ariano e nella Fiumarella.

NOTE:
CIL, IX, 6013;
CIL IX, 1156;
CIL, III, 1456 e NISSEN, op. cit., pag. 819;
G. LUGLI, op. cit., Pag. 34
POLIBIO, III, 90; STRABONE, VI, 3, 7
CIL X, 6059, 6066, 6067;
Cfr. NISSEN, op. cit., pag. 820-821;
CIL X, 6056, 6057.
Un’altra iscrizione fu trovata a valle di San Sossio Baronia, a Nord di Trevico (1) e nello stesso posto sono visibili ancora oggi avanzi di un ponte in “opus reticulatum”. Un’altra iscrizione fu rinvenuta a Vallesaccarda, sempre sul versante della Fiumarella. Da Fiumarella la strada si dirigeva verso il fiume Calaggio, dove a Nord di Lacedonia è ben conservato un ponte che sicuramente apparteneva a questa via e che presenta “opus reticulatum” ed evidenti segni di rifacimenti successivi. Il ponte è ben visibile sul tratto Napoli-Bari dell’Autostrada A 17, due Km. Dopo il Casello di Lacedonia. La Herculia si inerpicava poi verso Lacedonia per ridiscendere al Pontem Aufidi, dove seguiva un andamento simile a quello dell’Appia, se non proprio uguale. Ne ritroviamo le tracce in una iscrizione rinvenuta a Melfi (2) e in una seconda rinvenuta a Venosa (3), nella quale è espressamente nominata. Indi entrava in territorio lucano.
Queste sono le vie dell’Irpinia antica in epoca romana. Ma quasi sicuramente c’era anche una strada per la Sella di Conza (4). M. Napoli dice infatti che risalendo il corso del Sele, e seguendo quindi quello del suo affluente d’alto corso, il Temete, si giunge al facile passo della Sella di Conza. Il passo di Conza della Campania si affaccia comodamente nella valle dell’Ofanto, ed Ofanto vuol dire, da una parte verso Oriente Daunia, dall’altra verso Nord-Ovest Calore, Volturno, cioè Beneventum e Capua. Scrive M. Napoli: “Il passo di Conza appare come un nodo stradale di straordinaria importanza, perché da qui, solo da qui è possibile il transito per chi voglia, evitando le vie costiere, scendere dall’Italia centrale verso il Sud. Fu questa la strada che i Lucani dovettero percorrere…di qui scendendo lungo l’alta valle del Sele sfociarono nella piana pestana. Sicuramente anche gli Hirpini, almeno quelli più meridionali raccolti intorno al centro di culto a Mefite, si servirono di questa naturale via di comunicazione, di cui tacciono le fonti” (5).
Molto probabilmente anche lungo gli altri corsi d’acqua ci devono essere state delle vie di comunicazione. Da una serie di fotografie aeree infatti Dinu Adamestenu, inventore di questa tecnica, ha creduto di individuare diverse vie di comunicazione preromane: i cosiddetti “tratturi”, attraverso i fiumi Cervaro (Cerbalus) e Ofanto (Aufidus) (6).

La mia tesi si concludeva dicendo: “Ci auguriamo che la ricerca archeologica, finora limitata all’area di Mefite e ad Aeclanum, venga estesa anche alle altre località: solo così si potrà dire qualche cosa di più preciso su questo argomento.
Abbiamo tentato di stabilire quale sia stato il percorso di Orazio in territorio irpino e lo abbiamo stabilito con una certa sicurezza, conoscendo molto bene le località, gli ostacoli naturali della zona e le possibili scorciatoie.

NOTE:
CIL X, 6060;
CIL X, 6064;
CIL X, 6066;
Cfr. NISSEN, Italische Landeskunde, II, pag. 812;
M. NAPOLI, in I° Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1961, pag. 203-204;
DINU ADAMESTEANU, Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1962, pag. 39 e seguenti.
Ma la storia dovrebbe avvalersi, oltre che delle fonti, che purtroppo non sono chiare a proposito degli Irpini, di tutte le scienze ausiliarie; purtroppo però per le nostre zone questo studio manca, in quanto l’area è emarginata e isolata dal resto del paese.
L’Irpinia è una regione aspra e montuosa, tale da scoraggiare l’archeologo; ma noi ci auguriamo che in un futuro immediato il piccone del ricercatore possa contribuire a dare allo storico la possibilità di risolvere il problema degli Irpini in maniera più qualificata e precisa di quanto, con tutta la buona volontà, abbiamo potuto fare noi in questo studio sull’argomento”.
Qualche anno dopo quello che nella tesi era stato un semplice auspicio sarebbe diventato, per altri versi, una triste realtà: il tragico e disastroso terremoto del 23 Novembre accese un riflettore potentissimo sui nostri paesini arroccati sui monti e rasi al suolo, sulla povertà dignitosa della gente, esasperata dal ripetersi di tali eventi con cadenza tremendamente costante, ma mai rassegnata di fronte all’ennesimo tragico disastro.
La Soprintendenza negli anni del dopo terremoto dovette intervenire spesso e a lungo nel nostro territorio a causa delle emergenze archeologiche che il sisma aveva creato: si scavò un po’ dovunque nella vasta area colpita dall’evento ed i risultati in qualche caso furono straordinari, come a Carife e a Castel Baronia: gli scavi intrapresi nell’ambito di ben tre vaste necropoli sannitiche permisero di recuperare centinaia di tombe, i cui reperti permisero di capire molto di più del modo di vivere di questa fiera gente e del grande livello culturale raggiunto dai Sanniti/Hirpini.
La presenza di molte ville rustiche romane in Valle Ufita e, soprattutto, la venuta alla luce dell’abitato tardo ellenistico di Fioccaglia, in agro di Flumeri, ha costretto studiosi ed esperti a rivedere ed a cambiare teorie, ipotesi e convinzioni sulla topografia antica dell’Irpinia ed anche sulle vie di comunicazione che l’attraversavano.

Gli scavi di Fioccaglia in territorio di Flumeri

Gli scavi di Fioccaglia in territorio di Flumeri