Le Tombe 89 e 90 della Necropoli Sannitica di “Piano della Sala” di Carife

Gli scavi archeologici, condotti nei territori di Carife e Castel Baronia a partire dal dopo terremoto del 23.11.1980, hanno evidenziato la presenza di ben tre necropoli sannitiche: una in località “Serra di Marco” (Castel Baronia) e due in agro di Carife (Piano la Sala e Addolorata).
Lo scavo, resosi necessario per esplorare preventivamente le aree destinate alla ricostruzione, ha permesso di portare alla luce centinaia di sepolture, offrendo la più ricca documentazione sul Sannio meridionale, sugli Hirpini che abitarono il nostro territorio, facendoci conoscere meglio questa gente.
Il Prof. Werner Johannowsky, che ha diretto gli scavi fin dall’inizio, ha maturato la convinzione che nel nostro territorio si trovava la famigerata ROMULEA, saccheggiata e distrutta dai Romani nel 296 a.C. (Cfr. Tito Livio X, 17). Questa località era stata menzionata già da Stefano Bizantino, come “città dei Sanniti in Italia”.
Il nome di Sub Romula sopravvisse in seguito negli Itinerari come stazione della Via Appia, il cui tracciato originario seguiva, sempre secondo il Prof. Johannowsky, la valle dell’Ufita.
Le sepolture fin qui rinvenute nelle tre necropoli sono riferibili ad un periodo che va dalla metà del VI e gli inizi del III secolo a.C.
Sappiamo ancora poco sugli insediamenti abitativi dei Sanniti, tranne che, secondo Livio, essi abitavano “vicatim”, cioè in piccoli villaggi rurali.
I Sanniti/Hirpini, in caso di necessità, si rifugiavano nell’arce o fortificazione, collocata su un’altura meglio difendibile, nel nostro caso Romulea.
Alcuni tipi di vasellame sono presenti quasi in tutte le tombe (crateri, guttus, coppette, oinochoe, olle, cantaroi, schiphoi, patere, ecc.) (Vedi foto n. 5).

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Non mancano oggetti in bronzo, quasi sempre di provenienza etrusca.

Nelle tombe maschili è quasi sempre presente il cinturone di bronzo, il cui possesso, anche in età molto giovanile indicava che il personaggio godeva di tutti i diritti. In qualche caso oltre a quello  indossato dall’inumato, sempre in posizione supina, è stato trovato un secondo cinturone disteso  lungo il fianco, forse come preda di guerra. (Tomba n. 58 di Castel Baronia). In antico privare  qualcuno della cintura equivaleva a privarlo della libertà. (Vedi foto n. 11)

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Nelle tombe maschili non mancano il “culter tonsorius” (rasoio), le cuspidi in ferro di lance o giavellotti e, in quelle di personaggi della classe emergente, gli spiedi metallici. In qualche tomba era presente anche lo strigile, a documentare che il frequente contatto e gli scambi commerciali con i Greci avevano fatto nascere anche tra i Sanniti l’ideale dell’efebia.
Nelle tombe femminili sono presenti fibule e monili di vario tipo, e non mancano elementi di ambra e di argento.
Le tombe n. 89 e n. 90, sicuramente tra le più ricche indagate nel territorio, sono contemporanee e appartengono entrambe al V secolo a.C.. Nella tomba n. 89 sono stati inventariati 22 reperti e ben 40 erano presenti nella tomba n. 90.
Esse vennero fuori nel corso del 1985 ed erano a fossa, più profonde rispetto alle altre già recuperate in precedenza; contenevano entrambe un personaggio di sesso maschile appartenente alla classe emergente, inumato in posizione supina. Erano collocate sotto una coltre di pietre ed erano sfuggite al primo scavo. Furono recuperate grazie alla tempestiva segnalazione del proprietario del terreno ed al tempestivo intervento del sottoscritto, allora Sindaco di Carife e Ispettore onorario del Ministero dei Beni Culturali.
I reperti furono esposti a Roma in occasione della mostra organizzata per l’anno dedicato ai Sanniti. La mostra, assai inopinatamente, purtroppo si chiuse senza che fosse stato redatto un catalogo. In occasione di quella mostra furono esposti i reperti di tre tombe rinvenute a Carife e due rinvenute a Castel Baronia (tomba n. 58 e n. 62 ). (Vedi foto n. 12 e 13).

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L’oggetto sicuramente più rilevante e notevole presente in entrambe le tombe è un candelabro di bronzo componibile, fatto di vari pezzi, di provenienza etrusca. Esso serviva non solo per  rischiarare l’ambiente durante i banchetti, ma anche per praticare il gioco del “Kottabos“: si  toglieva la cimasa, si collocava il candelabro al centro della sala, sulla parte superiore si  collocava la coppa da colpire e da far cadere con un getto di vino proveniente da un’altra coppa infilata nel dito di una mano e con rituali e regole prestabilite. (Vedi foto n. 8)

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La scena è rappresentata , oltre che su coppe, anche su una lastra della famosa “Tomba del  Tuffatore” di Paestum.

Chi vinceva aveva il diritto di scegliere una donna e di appartarsi alla ricerca di intimità. Naturalmente il gioco era praticato nell’ambito degli appartenenti alla classe emergente.

I candelabri, tipicamente etruschi, si ispiravano, per decorazione e stile, a modelli greci. Nella  tomba n. 89 la cimasa del candelabro, alto circa 90 centimetri, è costituita da un bellissimo  satiro nudo, rappresentato nell’atto di sacrificare, con un falcetto/coltello ricurvo, un caprone rampante afferrato per il ciuffo di peli presenti sotto la mandibola. (Vedi foto n. 6)

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Mentre l’iconografia del satiro non trova confronti, lo stile complessivo del candelabro è  riconducibile a sculture dell’ambito attico e peloponnesiaco del tardo V secolo a.C.

Il candelabro della tomba n. 90, alto circa 88 centimetri, è invece sormontato da una cimasa non figurata a forma di pigna, ed è simile, per forma e decorazione, ad un gruppo di candelabri  della fine del V secolo a.C. rinvenuti tra  Vulci ed Orvieto. (Vedi foto n. 7)

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Alcuni reperti in bronzo presenti nelle due tombe, evidentemente tesaurizzati in casa, sono più antichi. In particolare i bacini con orlo a tesa impresso con motivo a treccia sono del tardo  VI secolo a.C. (Vedi foto n. 1)

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Nella tomba n. 90 era presente una bellissima patera di bronzo, con il manico a forma di “Kouros”, che trova confronti in un tipo diffuso nel Peloponneso nel corso degli inizi del V secolo. Si tratta, evidentemente, di un oggetto importato. Il Kouros poggia i piedi sulla testa di un capro,  regge sul capo e sulle braccia una coppia di arieti ed è lungo circa 20 centimetri. Nella scultura greca arcaica il “Kouros” era una statua votiva rappresentante un giovinetto nudo. La statua votiva di giovinetta ammantata si chiamava “Kore”. (Vedi foto n. 10)

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Dello stesso periodo è l’Oinochoe a becco in bronzo (Schnabelkanne) alto circa 28 centimetri ,  anch’esso importato dall’Etruria. L’ansa è stata fusa a parte e poi applicata al vaso mediante  una palmetta a undici foglie, tra volute che finiscono a testa di serpente. L’attacco superiore,  bifido, è sempre con teste di serpenti. (Vedi foto n. 9)

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All’ideologia dei morti banchettanti nell’aldilà sono riconducibili tutti gli oggetti presenti nelle due tombe:

Un posto a parte merita il cratere a campana dipinto con la tecnica delle figure rosse ed  attribuito al “Pittore di Dolone“, operante a Metaponto: E’ stato datato intorno al 400 a.C. e  rappresenta una scena di “thiasos ” dionisiaco, in linea con la funzione del vaso e con la  statuetta del sileno. E’ alto circa 37 centimetri e presenta sul lato A una Menade vestita tra un  satiro ed un sileno nudi, sul lato B tre giovani uomini ammantati. Sull’orlo è presente il solito motivo con ramo d’ulivo e sulla parte inferiore un motivo a meandro. (Vedi foto n. 3)

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Nella tomba n. 90, invece del cratere, troviamo una bellissima e rara “kelebe”  (o cratere a  colonnette) a vernice nera sovradipinta, con quattro anse. (Vedi foto n. 4)

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 Sempre in questa tomba troviamo tre boccali a verice nera, imitanti modelli attici, ma con sull’orlo protomi di lupo, animale totem degli Hirpini; la tipologia è già presente nella zona (vedi  Morra de Sanctis) fin dal VII sec. a.C. (Vedi foto n. 2)tomba_89_90 (13)

L’abbondanza degli oggetti, la raffinatezza complessiva di essi ci dà un’immagine assai positiva dei guerrieri sanniti, che si aspettavano di partecipare ai banchetti dell’oltretomba, ma non dimenticavano di essere giunti qui guidati da un lupo, nella tradizione del “Ver sacrum”o primavera sacra.
Ci piace immaginare i nostri antenati Hirpini, che abitavano il nostro territorio, proprio come ce li descrive Silio Italico (25-101 d.C.) nei “Punica”: essi erano scesi dalle montagne insieme alla gioventù lucana per partecipare alla battaglia di Canne (216 a.C.) .
“Juventus Lucanis excita iugis Hirpinaque pubes
Horrebat telis et tergo hirsuta ferarum.
Hos venatus alit. Lustra incoluere
Sitimque avertunt fluvio, somnique labore parantur…”
Nella rassegna delle forze in campo fatta da Silio Italico seguivano…
…la gioventù fatta scendere dalle montagne lucane e quella irpina
Irta di lance e con le terga ricoperte di pelli di fiere irsute (cinghiali).
Li nutre la caccia, abitano luoghi selvaggi.
Placano la sete chinandosi a bere direttamente dal fiume,
e si mettono a dormire stanchi per la fatica…
Gli Hirpini diedero del filo da torcere ai Romani, cogliendo ogni occasione utile (Vedi Pirro) fino alla fine della guerra sociale (89 a.C.), che si concluse con la distruzione di Aeclanum ad opera di Silla, e furono gli ultimi a cedere.

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BIBLIOGRAFIA
1) MATILDE ROMITO – “GUERRIERI SANNITI E ANTICHI TRATTURI NELL’ALTA VALLE DELL’UFITA”  – LAVEGLIA EDITORE – Nocera Inferiore 1995
2) GIOVANNA GANGEMI – ARTICOLI VARI –
3) WERNER JOHANNOWSKY – ARTICOLI VARI
3) GIULIANA TOCCO SCIARELLI – “LE RECENTI SCOPERTE NEL SANNIO IRPINO E CAUDINO” –
CARSA EDIZIONI – ANNO 1 N. 0- Pescara – Gennaio 1991
4) SAFINIM – “STUDI IN ONORE DI ADRIANO LA REGINA ” A CURA DI DOMENICO CAIAZZA
ARTI GRAFICHE GRILLO – PIEDIMONTE MATESE – Giugno 2004
5) RAFFAELLA BONIFACIO – ARTICOLI VARI

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