CARIFE
Carife è tra i paesi più belli ed antichi della Provincia di Avellino ed è parte importante e centrale della Baronia, nella quale occupa un posto di rilievo, grazie alla mutevole conformazione del suo territorio e alla sua felice posizione. Il paese è situato a 740 metri sul livello del mare, su una delle propaggini dell’omonima Montagna, che fa parte del “Contrafforte di Trevico”, e domina la Valle dell’Ufita, che è possibile ammirare in tutto il suo splendore, specialmente quando, di sera, mille luci si accendono. Il suo territorio, esteso 16,62 chilometri quadrati, confina ad Ovest con quello di Castel Baronia, a Nord con quello di San Nicola Baronia e Trevico, a Nord-Est con quello di Vallata e a Sud con i territori di Guardia dei Lombardi e Frigento. La montagna, che fa da sipario al paese, lo protegge dai freddi venti provenienti da Nord (La Tramontana, qui chiamata “Voria”) e da Est, dai Balcani (Vento di Levante, chiamato “La Luanta”). La “Montagna di Carife” è in gran parte demaniale ed è gravata di uso civico, un’antica consuetudine che riconosce ai residenti il diritto di “legnatico” (raccolta della legna secca), quello di pascolo e quello della raccolta dei frutti del sottobosco (Funghi, fragoline, asparagi, origano, castagne, ecc.). Ai tanti “Pignatari” di Carife era inoltre riconosciuto il diritto di tagliare, le ginestre, che venivano poi utilizzate nelle fornaci per cuocere le “ruagne” e laterizi in terracotta. Il commercio di giare, ciotole, cecini, pignate, tiani, ecc., dava, in passato, reddito a numerose famiglie del paese. Oggi solo un giovane artigiano, volenterosamente e con grande passione, continua questa antichissima attività, documentata a Carife fin dal Neolotico. Il diritto di uso civico, di origine antichissima ed una volta opportunamente regolamentato, si è progressivamente affievolito nel tempo, in quanto oggi numerose mucche podoliche, ovini e caprini presenti sulla montagna allo stato brado ed in dispregio ad ogni regolamento, stanno distruggendo e desertificando la nostra amata montagna. Qui ci sono, in località “Bocche”, le sorgenti che approvvigionano d’acqua il paese, che non è consorziato e gestisce in proprio questa straordinaria risorsa. Il territorio degrada poi dolcemente verso il fiume Ufita con una serie di collinette argillose solcate profondamente da valloni e ricoperte di argentei oliveti e di macchie. E’ il terreno ideale per gli uliveti, che danno un olio rinomato ovunque, e, data l’esposizione a mezzogiorno, sarebbe anche il luogo ideale per i vigneti, ora ridotti a microscopici appezzamenti. Il paese è stato colpito da numerosi terremoti, tra i quali ricordiamo soprattutto quelli del 1732, del 1930, del 1962 e del 1980. Come tutti i paesini dell’Irpinia è stato interessato, nel tempo, da una grandissima emigrazione, che ha portato i Carifani in ogni parte del mondo, tanto da ridurne gli attuali abitanti a poco più di 1.500, per lo più anziani. Inesorabile appare l’abbandono dei campi e dell’agricoltura, praticata ormai soltanto da qualche irriducibile contadino. Il paese si trova a circa 60 chilometri da Avellino e ad una diecina dai confini con la Puglia, in una posizione che è equidistante dal Tirreno e dall’Adriatico. L’Autostrada Napoli-Bari è facilmente raggiungibile: a Grottaminarda (17 Km.) per andare in direzione Napoli, Roma o sulla Salerno-Reggio Calabria e a Vallata (Km. 9), per andare in direzione Bari-Bologna-Milano. La stazione ferroviaria più vicina era quella di Ariano Irpino, che consentiva di prendere treni diretti alle stazioni di Foggia o di Napoli. Oggi in quella stazione i treni non si fermano più…
Dopo il sisma del 23 Novembre 1980 fu intrapresa una vasta campagna di scavi archeologici che ha consentito di documentare la frequentazione del territorio da parte dell’uomo fin dal Neolitico. Le testimonianze più importanti però sono relative al periodo Sannitico. Scarsissime sono invece le notizie storiche relative al primo millennio cristiano. Questo paese, con tutta la Baronia, fu accorpato dai Longobardi sotto il Ducato di Benevento nell’ 849. Nel secolo XI lo troviamo tra i possedimenti di Gradilone, nipote di Roberto il Guiscardo. Nel 1269 Carlo I D’Angiò cedette il territorio, che passò, poi, alla famiglia del Balzo. Nel 1507 fu feudo di Consalvo De Cordova e da questi passò ai Como, ai Galeota, ai Brayda, ai Miroballo e, nel 1646, ai beneventani Capobianco. Fu Laura Ciaccio Cosentina, vedova Capobianco, a comprare il marchesato di Carife, e i suoi discendenti lo tennero fino al 1810, anno dell’abolizione dei diritti feudali.
Carife ha tre chiese:
- La Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista, ricostruita interamente perché rasa al suolo dal terremoto del 1732;
- Il Convento di San Francesco o della Madonna delle Grazie
- La Chiesetta/Oratorio dell’Addolorata, del 1770
Tra i monumenti ricordiamo il Palazzo Marchesale, costruito dopo il terribile terremoto del 1732 e ristrutturato dopo quello del 1980. Il Comune di Carife ha partecipato recentemente alla realizzazione di un progetto, cofinanziato dall’UNIONE EUROPEA – P.O.R. Campania 2000/2006 – Misura 1.0, intitolato Recupero, Valorizzazione e promozione del patrimonio Storico-Culturale, Archeologico, Naturale, Etnografico dei Centri Storici della Zona ZPS “BOSCHI E SORGENTI DELLA BARONIA” dei Comuni di Carife (Ente capofila), Castel Baronia, San Nicola Baronia e Flumeri. In esecuzione del progetto, tra le altre iniziative, al Piano dei Cavalieri e a ridosso del Parco Archeologico dell’Addolorata, sono state collocate delle edicole o bacheche contenenti didascalie e foto, che illustrano succintamente le caratteristiche del territorio, la storia del nostro “natìo borgo selvaggio” ed i risultati della ricerca archeologica. Offriamo le foto ed i testi di queste bacheche, come brochure/depliant all’attenzione dei “navigatori”, Carifani e non, interessati a conoscere meglio il nostro tranquillo ed ameno paese.
Agli amanti ed appassionati di ricerca storica offriamo infine una bella descrizione del nostro paese fatta dal Dott. Paolo Salvatore negli anni Cinquanta del Secolo scorso:
DAGLI “APPUNTI DI STORIA DI CARIFE” DEL DOTTOR PAOLO SALVATORE
“E’ adagiato a 740 s/m sulle pendici di una collina facente parte del massiccio montuoso di Trevico, costituito da groppe tondeggianti di epoca quaternaria. Da questo massiccio si dipartono tanti dorsi collinosi, che raggiungono il torrente Ufita (Arvi, Albi, Bufata) a circa 460 metri s/m, appellati dialettalmente : Montevergine, Cerrito, Seritella, Serra di Marco, ecc, ecc. A principio della serra Seritella si erge un cocuzzolo, su cui era appollaiata ai primordi della sua esistenza il Casale di Carife. Ha una superficie territoriale di Ha. 1798 ed una agraria di Ha. 737. In origine quando si assegnarono i confini con paesi limitrofi (1425) il Comune fu quasi defraudato e quindi ebbe assegnato pochi ettari di terreno che in buona parte era costituito dalla montagna. Ma l’agricoltore Carifano attualmente, con la sua operosità, posseduto dal desiderio di avere un suo podere proprio, ha allargato i confini acquistando terreno nei Comuni vicini: Castelbaronia, Guardia Lombardi, Vallata, Sturno. Posto quasi ad egual distanza dai due mari Adriatico e Tirreno ha un clima prettamente continentale, asciutto, però la parte nuova “Terra Nova” riparata dalla montagna dai venti di Nord-Est gode durante l’inverno di una temperatura non troppo fredda. E tale vantaggio andrà aumentando oltre tanti altri che ne deriveranno in prosieguo dal rimboschimento che, iniziato molto modestamente nel 1903-1904 dal Sindaco di allora Dr. Paolo Salvatore viene continuato ora 1949-1950-1951-1952 assunto dallo Stato. Così il rimboschimento fatto razionalmente ed esteso a gran parte della montagna (multa renascentur quae iam cecidere – Rinasceranno molte cose che ormai erano cadute) contribuirà a rendere Carife col progredire degli anni e della civiltà, con abitanti diventati un po’ più accoglienti, un paesello ridente e ben accetto turisticamente, specie se nuove comunicazioni più frequenti e più progredite lo allacceranno ai diversi centri. Col rimboschimento viene così riparato al vandalismo che la popolazione allora anch’essa inebriata dalle nuove idee scaturite dalla Rivoluzione Francese compì contro il bosco Comunale devastandolo. E per riparare a ciò con istrumento del 6 Aprile 1801 per Notar Tedeschi Vincenzo (Sindaco Valentino Di Luna; capo eletti Giovanni Pelosi. Luca Cordasco, Giovanni Carsillo) i 711 tomoli di cui 500 rivestiti in parte e 211 di terreno saldo furono suddivisi e concessi in enfiteusi a 454 cittadini indistintamente abbienti o meno. L’altro vantaggio ne risentirà la frana “Vitullo”: questa detta così dal torrente omonimo, posto nel lato orientale si verificò dopo il terremoto del 1732. Dopo il penultimo del 1910 (rispetto all’allora ultimo del 1930, n.d.r.), lo Stato interessato dispose (1912-1914) la costruzione di una muraglia larga due metri a sostegno sotto le ultime case evacuate e demolite verso le cosidette Lavanghe. In seguito furono praticate sotto e sopra le spallate, nonché a valle e lateralmente delle piantagioni. Purtroppo la solita incuria non ha impedito l’abuso e il danno di abbattere le piantagioni e di non lasciare saldo il terreno circostante. Le antiche amministrazioni, prima del 1870 costruirono a valle delle briglie per arginare lo smottamento del terreno della frana, ma da quella lontana epoca furono lasciate in balia delle erosioni e del tempo. E per finire col rimboschimento bisogna riconoscere che l’attenzione degli amministratori fu sempre rivolta a simile problema per quanto permettevano i tempi e i magri bilanci comunali e di fatti fin dal 1866, Sindaco il canonico Giambattista Tedeschi, fu iniziata la semina di semi di ginestra , che diedero poi con il loro taglio triennale un certo aiuto al bilancio ed inoltre una certa vita alle fornaci di laterizi. Le ginestre, pur essendo poca cosa, abbellirono e profumarono in primavera questa brulla nostra nativa montagna: Ad opera dello stesso Sindaco Tedeschi fu costruito l’attuale Municipio che per lo innanzi aveva sede con i suoi pochi incartamenti nella casa privata dei Flora i quali furono successivamente i Segretari Comunali, padre e figlio Rocco e Antonio Flora, rispettivamente bisnonno e nonno degli attuali. E’ attualmente servito di acqua potabile captata dopo tanti anni di attesa, nel 1924 dalle sorgenti Bocche, situate al confine con la montagna di Trevico in fondo al cosidetto Vallone di S. Nicola. Il progetto fu iniziato dal Sindaco Giovanni Addimandi prima del 1890, ma non ebbe seguito perché la sovvenzione dello Stato non veniva mai accordata, e l’amministrazione comunale era restia a contrarre debiti. Sotto l’amministrazione dello stesso Sindaco (1880) fu iniziato il lavoro del Camposanto, ma la scelta del terreno fu quanto mai infelice specie sotto l’aspetto igienico-sanitario. Il sottosuolo è pieno d’acqua, smotta continuamente, e le Cappelle Gentilizie anch’esse si riempiono di acqua e smottano continuamente. Nessuna Amministrazione, per incuria o per mancanza di mezzi ha mai cercato di porre rimedio serio e cosciente, ed il Camposanto è ridotto in uno stato di abbandono che fa vergogna e disonore anche a dei zulù (sic!). Per lo innanzi era un gran disagio avere poche gocce di acqua potabile e bisognava andare ad attingerle nel vallone delle Fontanelle, giacchè l’acqua della fontana grande scaturendo sotto l’abitato a valle del cimitero (Purgatorio?) era cattiva ed inquinabile. E fino al 1924 dal 1904 in cui il Sindaco di quel tempo a via di pietosi sforzi potè portare sulla strada rotabile, verso Castel Baronia, questa minuscola fonte, Carife d’estate moriva di sete.”(1) Al censimento del 1936 Carife contava 3317 abitanti. Come ben si vede il Dr. Salvatore era bene informato sulle vicende di Carife e il linguaggio, duro e senza fronzoli, raccontava la verità e non aveva riguardo per nessuno dei suoi predecessori e successori nella carica di Sindaco di Carife. Questi appunti, sui quali ritorneremo in seguito, sono stati stesso spudoratamente sfruttati da molti, che, con poca onestà intellettuale, non ne hanno citato la fonte.
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(1) Il Sindaco in parola era proprio lui, il Dottor Paolo Salvatore.